OZMO – dal Leoncavallo al Museo del 900

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In questi giorni abbiamo potuto assistere al work in progress delle opere di Ozmo che operava di fronte ai passanti di via Marconi; adesso possiamo entrare in un prestigioso museo per conoscere i lavori di uno dei protagonisti dell’arte underground, ormai accolto con favore crescente negli spazi istituzionali dell’arte contemporanea.

Di fatto la mostra si è creata modificandosi di giorno in giorno fino al suo completamento il giorno 16 Febbraio (data dell’opening/finissage) quando ha avuto  luogo la presentazione dell’installazione terminata insieme con un DJ set e la proiezione in anteprima del video che documenta l’intervento realizzato da Ozmo lo scorso novembre alla Fabbrica del Vapore di Milano in occasione dell’uscita in Italia del film-documentario di Banksy, Exit Through the Gift Shop.

È proprio qui a Milano che Ozmo ha iniziato a tracciare le basi del movimento artistico urbano. Dal 2000  inizia a firmare interventi monumentali in centri sociali e spazi alternativi della città, tra cui lo storico Leoncavallo. Dopo l’esperienza USA e messicana, torna in città ad esporre nientemeno che a Palazzo della Ragione e poi al PAC con la collettiva “Street Art Sweet Art” fino ad accedere alle stanze del Palazzo Reale, dove espone accanto ad opere di De Chirico, Boetti, Schifano.
Ozmo ha invaso tutti gli spazi di culto dell’arte contemporanea milanese, come prescindere dal nuovo e prestigioso spazio del Museo del 900?

Ma la questione sorge spontanea e spinosa: una volta lasciati gli ambienti urbani, la strada-museo a cielo aperto per dialogare con le istituzioni, con i suoi critici e curatori, si può ancora parlare di street art?
Come può la street art essere “indoor”? Come può un’opera musealizzata mantenere la sua natura anarchica, spontanea ed eversiva tipica dell’arte di strada? Queste le domande che si pongono in tanti da quando gli altri compagni pionieri del genere sono stati introdotti nel sistema dell’arte e del mercato.

 “Non è importante ragionare se quanto realizzato in un museo da uno street artist sia o meno street art, ciò che conta, come nel caso di Ozmo, è lo spessore dell’artista e delle sue opere…”                           (cit. catalogo della mostra – Associazione Culturale Attack)

Onde evitare di perdersi in questioni semantico-ermeneutiche una volta intercettato l’artista toscano, durante il “finissage” della sua mostra, con le mani ancora imbrattate dei suoi “manufatti visivi”, ho puntato dritta al sodo chiedendogli spiegazioni circa il significato del fantasmagorico universo di immagini che ci propone e sulla loro provenienza.

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Tutte le immagini partorite e impresse sullo sfondo bianco provengono da una ricerca personale che non pretende di attribuire significati o trasmettere messaggi”, asserisce l’artista,  “sono esperimenti frutto di una ricognizione personale del mondo tradotta in un sincretismo di icone e citazioni che, attraverso il tratto essenziale del disegno, vanno a popolare un universo parallelo di ambiguità”.
In queste sue visioni si fondono modelli del passato congiunti ad icone moderne, loghi, marchi commerciali, immagini religiose,: tutti simboli provenienti dall’immaginario collettivo dell’uomo occidentale, in bilico tra sacro e profano.

%name OZMO   dal Leoncavallo al Museo del 900Guardare e cercare di capire un’opera di Ozmo significa procedere per fasi: relazionarsi con l’opera nella sua interezza, essere colpiti dall’effetto globale e successivamente addentrarvisi, restringere la prospettiva e scegliere da quale particolare partire per procedere all’interno e mettere a fuoco tutti i dettagli, e dunque proseguire l’esplorazione abbandonandosi a ciò che colpisce maggiormente l’attenzione. Modalità random. Come afferma l’artista stesso, questa cosmologia di segni e simboli tutta da esplorare non ha in realtà alcun filo logico, non racchiude significati predeterminati, ma fornisce, un’infinità di spunti in cui, come nelle macchie di Rorschach, ciascuno può vedere qualcosa di diverso.

%name OZMO   dal Leoncavallo al Museo del 900Nella sua opera è facile ritrovarvi quella mania tutta postmoderna dell’accumulo, in questo caso però lo stile grafico e sintetico dà una forma al caos tramutando l’esubero di immagini in ricche composizioni fluttuanti e monocrome in cui ogni tassello trova il suo ordine estetico nel bianco spazio indefinito della tela o dello stucco.

Dall’altra parte la natura pop dei suoi lavori, ispirati anche a fatti di cronaca (vedi nave concordia), lascia preponderante spazio ad un gusto squisitamente rinascimentale attribuibile non solo alla scelta dei soggetti (dai santi vincitori raffaelleschi al  San Sebastiano martire, agli scenari già “metafisici” di Paolo Uccello), ma anche dalla concezione stessa del disegno e del potere demiurgico della linea, caratteristica essenziale della tradizione romano-toscana quattrocentesca che ha fatto scuola.

Ad ogni modo, anche se indoor, la concezione di arte di Ozmo è sempre affine all’idea di esperienza spaziale e collettiva da condividere. Una dimostrazione concreta è stata data dalla distribuzione di adesivi con il teschio-logo della mostra da personalizzare a piacimento ed incollare sulle pareti. Risultato: una galleria nella galleria tappezzata dalla produzione di artisti improvvisati che ha attirato l’attenzione e la curiosità di ogni visitatore.

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Eleonora Macioci

www.ozmo.it

Museo del 900                                                                                                                                                      

Palazzo dell’Arengario
Via Marconi, 1
20122 Milano

Dal 2 al 26 febbraio 2012

www.museodelnovecento.org

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