La Giordania è stata per me un’incredibile scoperta. Un viaggio nel tempo e in panorami da togliere il fiato.
La capitale della Giordania è Amman, come Roma è stata fondata su 7 colli anche se adesso occupa un territorio molto più esteso. È una città molto antica, i primi insediamenti risalgono al 6500 a.C. I resti e il patrimonio delle grandi e antiche popolazioni che l’hanno abitata, Persiani, Assiri, Babilonesi, Greci e Romani, si affiancano a grandi edifici moderni.

Come tutte le città, solo passeggiando si entra in contatto con la sua identità: una forte anima araba legata alle tradizioni e allo stesso tempo aperta al mondo e all’innovazione. Attenzione però che è molto grande, più di 4 milioni di abitanti e 1.680 km2, è bella da girare a piedi solo per chi non teme di raggiungere i 20.000 passi giornalieri 😉

Una curiosità sul nome, in epoca egizia la città era chiamata Philadelphia, che significa città dell’amore fraterno.
Tra i colli più antichi c’è La Cittadella, qui i resti greci sono ancora visibili e dalla sua sommità si gode un bel panorama sulla città, si notano il teatro romano, le numerose moschee, i mercati e la sua sconfinata estensione.


Tra quartieri caotici e arruffati mercati scovi anche piacevoli angoli tranquilli dove riprendere fiato. A Rainbow Street, ad esempio, si alternano negozi di artigianato a deliziosi locali dove pranzare o prendere un tè, il ristorante Sufra, in particolare, offre una cucina tradizionale, un arredamento curato nei dettagli e un bellissimo giardino esterno.

Nel saliscendi inevitabile della città siamo entrati in una piccola galleria d’arte. L’anziano proprietario ci ha mostrato vecchie foto e suoi dipinti che ritraevano come unico soggetto l’albero della vita, simbolo della Giordania. Si tratta di una pianta di melograno, rappresentazione di vita e fertilità visti i suoi minuscoli e numerosi semi succosi. I frutti dell’albero vengono mangiati dalle antilopi, a loro volta prede del leone che quando morirà tornerà alla terra dove il melograno affonda le radici: il ciclo della vita.
A differenza dei paesi arabi del Nord Africa che ho visitato, ho apprezzato fin dal primo giorno la serenità sui volti delle ragazze e donne giordane che sapeva di libertà: libertà di uscire la sera in compagnia, di truccarsi, di sorridere e di poter scegliere.

Dopo un paio di giorni di visita della Capitale abbiamo noleggiato un’auto e intrapreso il viaggio alla scoperta della Giordania.
La mattina è un buon momento per uscire dal centro senza il terrore di guidare nel traffico in tilt e senza regole della città.
Destinazione Dana Reserve con fermata al Monte Nebo, nei pressi di Madaba, e al castello di Al Kerak. È dal Monte Nebo che Mosè ha visto la terra promessa. Tra la foschia e con un po’ di immaginazione abbiamo individuato Gerusalemme, Betlemme e il Mar Morto. A prescindere dalla fede credo che una visita in un luogo tanto storico e religioso sia emozionante.



Da Amman a Petra si percorre la Strada dei Re, ma è da Madaba che la strada diventa un vero spettacolo: il paesaggio diventa lunare, arido, scende sotto il livello del mare e fiancheggia qualche villaggio di campagna. La strada è stata asfaltata di recente, è tenuta bene ed è difficile credere che come via di comunicazione abbia più di 5.000 anni.

La Strada dei Re partiva da Petra, attraversava tutta la Giordania e arrivava in Siria. Tra le più antiche testimonianze sull’importanza di questa via di comunicazione, c’è quella biblica che narra di quando Edom re degli Edomiti, nega a Mosè di percorrere la strada per giungere a Israele.
Via di comunicazione e commercio per i Nabatei che trasportavano incenso, spezie e merci esotiche, fu fortificata in seguito dall’imperatore romano Traiano per renderla più accessibile alle truppe dell’esercito. È stata poi una via religiosa, percorsa dai Cristiani durante le crociate e dai Musulmani per i pellegrinaggi a La Mecca.

Al Kerak è famosa per il castello dei crociati, posto su un punto strategico con una visuale a 360 gradi sui territori intorno. Teatro di scontro tra i crociati francesi e le armate di Saladino, è stato costruito nel 1142. Se il castello è imponente, meritano ancor più attenzione i sotterranei e le prigioni.
Per un attimo ho rivissuto la scena iniziale del film Robin Hood del regista Kevin Reynolds e immaginato le migliaia di prigionieri delle guerre di religione.



Continuiamo il viaggio verso Dana Reserve, costeggiando le saline a sud del Mar Morto. Una strada dritta e immersa in un atmosfera opaca. Un’indicazione improvvisa ci fa svoltare a destra fino al punto di accesso alla riserva. Lasciamo la macchina e un ragazzino di 15 anni diventerà l’autista della jeep scassatissima che, su una strada di enormi sassi appuntiti, ci guiderà nel deserto roccioso di Dana accompagnati da una piacevolissima colonna sonora di musica tradizionale. Il paesaggio è arido ma con un’eccezione. Lungo la strada ci sono dei tubi, come le canne che usiamo noi per innaffiare i giardini, che portano l’acqua dal Reef ad alcuni punti di raccolta. I tubi devono avere delle perdite perché è proprio lungo il loro percorso che cresce una rigogliosa vegetazione di oleandri rosa, l’unica pianta che si difende dal brucare delle capre perché velenosa.

Arriviamo al Feynan Ecolodge dove alloggiamo per due notti: è una struttura alimentata solo da risorse naturali ad energia solare con pochissime stanze. Niente elettricità in camera, solo candele, eccezion fatta per il bagno. Qui lavorano alcuni dei ragazzi beduini che vivono nella riserva e parlano bene inglese. Il gruppo ospite dell’hotel è già partito per raggiungere il punto di osservazione del tramonto così Suleiman, uno di questi ragazzi, ci invita ad ammirarlo dalla sua tenda.

Tutte le famiglie beduine che abitano la riserva sono nomadi, vivono in tende di lana, e periodicamente si spostano dove le capre trovano pascolo. In mezzo a questo deserto roccioso solo due sono le strutture realizzate in muratura: la moschea e la scuola.
Lungo il tragitto, Suleiman ci indica l’albero sotto il quale è venuto al mondo e, una volta arrivati, ci fa accomodare su dei tappeti e ci offre del caffè. Il loro caffè è aromatizzato al cardamomo e si prepara solo per occasioni speciali: quella sera avrebbero avuto ospiti a cena. Ci dice che per educazione non si bevono mai più di tre tazzine. Quando non se ne vuole più si tiene la tazzina con due dita e si shakera. Se invece si vuole comunicare qualcosa di importante si appoggia con fermezza la tazzina a terra. Quando si vuole chiedere una ragazza in sposa è da questo gesto che parte la trattativa tra il padre e il futuro marito.

Dopo il caffè sorseggiamo il tè guardando il tramonto. Il the si beve in bicchieri di vetro e Suleiman ci insegna questo detto beduino: “le donne sono come il vetro. Alcune più facili da rompere, altre meno. Devi stare attento, perché quando si rompono, non c’è modo di aggiustarle.”
Dopo il tè andiamo al fuoco dove sua madre sta preparando la cena. Un pentolone di latte di capra dentro al quale viene bollita la carne. Sì, nel latte perché l’acqua è una risorsa più rara. La carne viene accompagnata da un pane molto sottile che sostituisce l’utilizzo delle posate. Lo abbiamo assaggiato: un sapore forte ma molto buono.
Quante stelle la notte. E che colori la mattina all’alba: un’invasione di luce rossa e tutto il paesaggio diventa dorato.

Il giorno dopo ci prepariamo per un’escursione a piedi nel canyon del parco. Cammini per ore e incontri solo beduini che portano al pascolo le caprette. Uno di loro ci ha raccontato che quella mattina il suo asino, che doveva accompagnarlo, non aveva voglia di camminare così l’animale lo ha mollato lungo la strada ed è tornato alla tenda, dove era certo lo avrebbe ritrovato la sera mentre lui ha dovuto proseguire senza scorte di cibo e acqua perché era l’asino a portarli.
Suleiman ci ha insegato i giochi con i quali i beduini al pascolo ingannano il tempo: basta un mucchietto di pietre e il tempo passa. Ci ha mostrato le piante che usano come sapone e quelle medicinali come la ginestra bianca.

Abbiamo proseguito da soli verso il canyon che via via si faceva più alto e verso la fonte d’acqua. L’acqua un tempo era più alta e ha levigato la roccia rossa creando dei giochi di colore e striature dipingendo un paesaggio bellissimo. Ci siamo arrampicati sulla roccia e abbiamo goduto del silenzio e della natura maestosa.


Il giorno successivo ci mettiamo in macchina molto presto, direzione Petra. Arrivare dalla costa del Mar Morto piuttosto che dalla strada principale ti permetter di avvicinarti alla città nascosta dall’alto e quindi da una prospettiva insolita in quanto il paesaggio si disvela piano piano tra rocce, gole e grotte. Proprio quelle gole e grotte che hanno ospitato i Nabatei intorno al 300 a.C.



Quali aspettative può nutrire uno che per la prima volta visita Petra, una delle 7 meraviglie del mondo? Io non avrei mai immaginato di provare tanto stupore. Oltre “il tesoro”, la tomba che tutti richiamiamo alla mente quando pensiamo a Petra, c’è un mondo, una vera e propria città nella roccia.


Abitazioni, tombe, canyon strettissimi che si aprono su valli ampie ed estese. Pensavamo che la visita sarebbe durata non più di due ore invece siamo rimasti tutto il giorno, camminando per più di 20 km tra saliscendi di gradini e rocce, tra turisti, cammelli e asini, fino a salire gli 800 gradini che portano al Monastero da dove si gode di una vista da togliere il fiato.


È sorprendente quando poi realizzi che come per noi è una meta unica nel suo genere, ambita e sognata, sia invece per i beduini un luogo abituale da abitare e frequentare quotidianamente.




Sfiniti e pieni di bellezza proseguiamo in auto verso Aqaba, sul Mar Rosso. Alloggiamo al Bedouin Garden Village, un accogliente residence hippie (dove però la pulizia e il cibo non sono il massimo). Bellissima la terrazza vista mare, la piscina e l’area relax con tappeti, divani e narghilè.
Con pinne, maschere e boccaglio ci avviamo entusiasti verso il nostro primo incontro con il Mar Rosso. Stiamo per entrare in acqua ma ecco una medusa viola, e poi due, tre e tante altre. Arriva un ragazzo, che evidentemente nota la nostra titubanza ad entrare, ne prende una e me la mette tra le mani. Non pungono! E così siamo entrati in acqua e, tra mille pesci colorati della barriera corallina, abbiamo nuotato attraverso un banco di meduse, una sensazione stranissima ma divertente.
Lasciamo Aqaba per il deserto del Wadi Rum, la riserva naturale più grande della Giordania. Il villaggio di Rum è costituito da circa 500 persone, tutte discendenti dalla stessa famiglia. Lasciamo l’auto e la guida ci conduce dai nostri cammelli: Fofù e Sheilan. Simpatici, ma lentissimi così dopo un’ora di camminata nel deserto sul loro dorso riprendiamo la jeep e viaggiamo tra dune di sabbia e roccia rossa, poi pranziamo accendendo un fuoco nel deserto.



Avete visto il film Disney Aladdin? Quando lui e Jasmin cantano sul tappeto volante “il mondo è mio”? La scena è girata qui. Abbiamo passato la notte in tenda alloggiando al light camp. Al tramonto ci si deve arrampicare sulle rocce per dominare la distesa di sabbia rossa e respirare.


Abbiamo cenato al campo con carne e verdura cucinata sul fuoco. I beduini conservano il cibo cotto scavando una buca sottoterra in modo da tenerlo caldo e proteggerlo dagli animali e dalle raffiche di vento.


Inutile dire quanto sia magica la notte stellata nel deserto.

Il giorno dopo partiamo verso il Mar Morto. Cristalli di sale rivestono i sassi e la terra a ridosso del mare. Alloggiamo in un lodge all’interno della riserva del Wadi Mujib. Di notte vedo le luci di Gerusalemme e sogno già un altro viaggio. La nostra stanza (con doccia a vetri affacciata sul mare) è 402 metri sotto il livello del mare. Impressionante a pensarci bene. Un consiglio spassionato è di alloggiare qui (prenotate però, le camere sono poche).


Verso il tramonto proseguite verso sud e prima che la riserva finisca lasciate la macchina a bordo strada e scendete verso il mare. Tutto è bianco. Se non fosse per il caldo potresti avere la sensazione di essere sulla neve, o meglio ancora, sulla luna.

Fare il bagno nel Mar Morto è un must e se state attenti a non farvi entrare nemmeno una goccia d’acqua negli occhi, è divertente sperimentare la lettura di un libro galleggiando ma ancora meglio è la sensazione sulla pelle una volta usciti dall’acqua: meglio di qualsiasi trattamento estetico.


Il giorno dopo abbiamo fatto canyoning nella gola del fiume Mujib, un’esperienza divertentissima, ma a posteriori. È possibile percorrere il sentiero da aprile a ottobre, d’inverno il fiume è troppo alto e la corrente forte. Superata qualche cascata sotto alla quale arrampicarsi e alcuni punti dove la corrente sembra trascinarti via, il ritorno è una passeggiata: scivoli d’acqua sulla roccia, tuffi in pozze profonde e l’acqua del fiume che ti porta dolcemente all’inizio del percorso. Un consiglio: se non amate le sfide fisiche e la troppa avventura prendete una giuda che vi dia una mano nei passaggi più complessi, soprattutto ad aprile quando l’acqua è ancora un po’ abbondante.

Ultima tappa prima di tornare in Italia: Jerash. Una città romana i cui resti che sono tenuti molto bene aiutano l’immaginazione. Jerash vale la visita anche per addentrarsi verso il nord del Paese che rispetto al sud è più collinare e verdeggiante.

Viaggiare in auto da soli per questo Paese è l’ideale. Le strade sono tenute molto bene, attenti però ai dossi presenti ogni tanto anche lungo le strade ad elevata percorribilità. E la polizia con i turisti è gentilissima, si fanno in quattro per aiutarti se hai bisogno di qualcosa e se per controlli sono loro a fermarti, prima di lasciarti andare si scusano per aver interrotto il tuo viaggio e si premurano di sapere se il soggiorno in Giordania stia proseguendo al meglio.


Il nostro pensiero a fine viaggio è che la Giordania sia un Paese ospitale, ricco di storia e tradizione e con tante meraviglie naturali pronte a stupirti!