VIAGGIO NEI BALCANI – Nostalgica Allegria (parte I)

Nel 1938 venne chiamato a fare il servizio militare a Torino. A quel tempo il fermo durava due anni, e quando l’Italia entrò in guerra fu subito mandato al fronte, nei Balcani. Ha combattuto la guerra di trincea che tutti conosciamo, è stato fatto prigioniero, si è salvato la vita lavorando in cucina e combattendo alla boxe per il diletto dei soldati. Nel 1943 con lo sbarco in Sicilia degli alleati lo volevano rimandare in patria ma si rifiutò di tornare a combattere per i fascisti della Repubblica di Salò, passando a combattere per i partigiani di Tito. Mio nonno dedicò 5 anni alla costruzione della Jugoslavia, ritornò a casa nel 1948, dieci anni dopo essere partito.

Quando ero piccola mi raccontava spesso questa storia, e sebbene lui negli anni ’70 fosse tornato in quei luoghi, in vacanza con i suoi figli, io me li ero sempre immaginati luoghi scuri, tristi, intrisi di sofferenza e desolazione. Convinzione alimentata anche dalle immagini della guerra degli anni ’90 che vedevo al telegiornale all’ora di cena e seminavano in me un profondo senso di angoscia al sapere che erano lontane poche centinaia di kilometri, meno di quei milleduecento che ci sorbivamo tutti gli anni per andare in vacanza sulla costa ionica della Puglia.

Per anni non ho mai preso in considerazione i Balcani come meta, nemmeno la costa croata che tutti mi dicevano essere bellissima. La vita però è strana, e oltre ad avermi mandato un compagno di origine slava, me ne ha mandato uno il cui antenato molto probabilmente è venuto in contatto in qualche modo con mio nonno, secondo ricostruzioni storiche tentate con l’aiuto dei relativi familiari.

Per farla breve, grazie a questa triangolazione di avvenimenti ho deciso che era giunta l’ora di valicare il Carso e approdare per la prima volta nell’Europa dell’est: tre settimane in auto, a tappe, da Zagreb a Split, una settimana di mare a Makarska, Dubrovnik e poi all’interno, verso Mostar, Sarajevo, Guča e Belgrado, per poi finire con una visita ai laghi di Plitvice e qualche altro giorno al mare nel viaggio di ritorno, a Zadar.

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Zagreb

Zagreb, la capitale: ci rimaniamo una sola notte, di passaggio. Punto di transito tra la cultura mitteleuropea e quella mediterranea, Zagabria conserva sia la sua anima antica che quella moderna. Capitale economica della Croazia e città universitaria, è una città abbastanza viva e in fermento.

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La chiesa di San Marco, nella piazza del parlamento, con il colorato mosaico del tetto che raffigura gli stemmi di Croazia, Dalmazia, Slavonia e Zagabria.

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Ripartiamo per la nostra settimana di mare a Makarska, località balneare molto affollata e turistica ma lontana dalle rotte degli italiani. La componente dei villeggianti è per lo più tedesca, austriaca e polacca. Facciamo base qui per esplorare la costa, e affittiamo un delizioso appartamento con vista mare ad un prezzo molto vantaggioso per il mese di agosto.

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Korcula

Korcula è senza dubbio una delle isole più belle della costa croata. La sua storia millenaria ha visto l’avvicendarsi di numerose popolazioni: greci, romani, balcanici, ma sono soprattutto i veneziani ad aver lasciato una forte impronta architettonica e culturale. Tutte le vie che la attraversano sono state progettate in modo tale che ci sia sempre passaggio di vento, così anche nelle giornate più calde e nelle vie più nascoste circola una piacevolissima brezza, che agita le bianche tende alle porte delle case, facendo contrasto con il blu del mare che si vede sullo sfondo da ogni punto dell’isola.

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Dalle mura di Dubrovnik

Dubrovnik è famosa per le antiche mura che la circondano che misurano 1940 metri di lunghezza e sono completamente percorribili a piedi, permettendo una vista senza eguali sul panorama circostante.

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Chiamata anticamente Ragusa di Dalmazia, nasce come insediamento romano ma dal medioevo diventa preda ambita sia di Venezia che dell’impero Ottomano. E’ sicuramente unica nel suo genere, peccato che il turismo l’abbia trasformata in una città fittizia, un set cinematografico (vi è stato anche girato Game Of Thrones) con negozi, bar e ristoranti a solo uso e consumo del visitatore, riuscendo a togliere una parte di quel fascino antico che ogni pietra emana con forza.

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Lasciamo la Croazia per addentrarci in Bosnia-Erzegovina, uno stato dalla storia lunga e accidentata, che porta ancora le cicatrici dell’ultima guerra bene in vista. La temperatura raggiunge quasi i 40°, quindi ci fermiamo per una rinfrescata alla poco conosciute cascate di Kravice.

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Il nome Mostar deriva dal suo “ponte vecchio” (Stari Most) che fu distrutto il 9 novembre 1993 dal fuoco di un mortaio croato e ricostruito nel 2004, e in seguito riconosciuto dall’Unesco come patrimonio dell’umanità.

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Passeggiando in questa tranquilla cittadina, tagliata in due da un fiume profondo di un verde brillante che divide la parte musulmana da quella cristiana collegate appunto dallo Stari Most, si percepisce tutto il recente passato di orrori e nonostante la bellezza del paesaggio, insorge un magone di fondo che non abbandonerà più per tutta la durata del viaggio attraverso questo stato.

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Sarajevo, punto di incrocio tra oriente ed occidente, uno dei pochi posti al mondo in cui moschee e sinagoghe, chiese cattoliche ed ortodosse condividono la stessa città, se non la stessa piazza.

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La città è di una bellezza triste e nostalgica che toglie il fiato. Il centro storico presenta una chiara origine ottomana, con una moschea e un mercato coperto che risalgono al 1500, che si interseca con le costruzioni della dominazione austro-ungarica, e si ha la sensazione di passare in poche centinaia di metri dalla Turchia medievale alla Vienna imperiale. E’ qui che è stato assassinato l’Arciduca Francesco Ferdinando, esattamente cen’anni fa, il 28 giugno 1914, dando il via a quella che è stata la Grande Guerra.

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La presenza del conflitto degli anni ’90 è ancora forte. Buchi di proiettile sui muri delle case, palazzi bombardati e mai ricostruiti, tutto fa in modo che quell’enorme sacrificio non sia dimenticato.

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Al tramonto, sulla collina che sovrasta la città, vengono sparati tre colpi di cannone a salve, per tradizione, ma il terrore che ti invade in quel momento, completamente immerso nella storia della città, è indescrivibile, soprattutto se dalla collina guardi in basso, verso le centinaia di lapidi bianche che si erigono a ricordo di chi sotto quei colpi, quelli veri, è caduto.

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Continua nella prossima puntata…