Oh my Anna, oh my love. (da ripetere sulle note di “No More Words“)
Non ci aspettavamo chissà quale performance, non ci aspettavamo chissà quale passione. Invece, siamo caduti nelle trame oscure di Anna Calvi. Mi è stato detto che la qualità di un concerto è proporzionale all’età del suo pubblico, bene, ieri sera all’Alcatraz non c’erano ragazzini hipster con haircut di tendenza nè occhiali anni ’50, non c’erano spettatori per far presenza, ma estimatori presenti. Pensando a lei, immaginavamo tende rosse di velluto, fumo e aria viziata, alcol liscio, lustrini un pò consumati, specchi di qualche retro bistrot parigino, luce fioca, baci viziati, rossetti rosso fuoco. Fantasie sbocciate sulle note dell’unico suo album.
Quando ieri sera è salita sul palco, dopo un’introduzione più che degna dei Frànçois & The Atlas Mountains (una delle poche volte in cui non hai fretta che il gruppo spalla se ne vada), con la sua camicetta di seta rossa e i capelli raccolti, Anna ha fatto dimenticare la mancanza delle tende, del fumo e del fatto che il capannone Alcatraz potesse mancare dell’intimità che tutti noi cercavamo. Nonostante la scenografia bruttina, quello scricciolo ossuto di Anna Calvi ci ha incantati. Come se volesse nascondersi dietro quella chitarra splendente che messa in piedi sarà alta quanto lei, via la timidezza, la sua voce languida e potente sembrava non appartenerle. Come se lei stessa, le sue parole, tutto fosse preda di una forza esterna, alla quale non può opporsi nè resistere (ascolta “The Devil“). Forse è questo che s’intende quando la musica è un’esigenza, non una scelta.
Rapiti per poco più di un’ora, giusto il tempo di completare il suo breve (fino ad ora) repertorio e aggiungere un pezzo nuovo. E quando ha provato a spiccicare due parole nel suo “piccolo italiano”, abbiamo capito che Anna, è destinata a crescere e restare. Dopo l’assolo di “Love Won’t Be Leaving“, non abbiamo paura che possa lasciarci o passare con la moda di una stagione.
She is on fire. E noi, innamorati di lei.