Jacopo Tiago, vincitore del nostro contest, ha voluto raccontarci la sua esperienza all’edizione del 2016 del Terraforma!
“Mi piace l’elettronica in generale e faccio fatica sempre a definire un genere, un po’ per mia non chiarezza un po’ perchè credo sia abbastanza ghettizzante. Non mi ricordo spesso i nomi di chi ascolto e vedo, salvo i mostri sacri o quelli su cui mi fisso, ultimamente consiglio Kolsch, sentito all’ultimo Sonar. E poi si sa che parlare con un appasionato esperto o con un “addetto ai lavori” del genere è come parlare con un enologo o un sommelier. A me quel Cannonau sembra semplicemente robusto e corposo, ma sulla trasparenza dei colori e l’armonia dei profumo non saprei che dire.
Quando vado a un festival sia il Sonar o, come in questo caso, il Terraforma mi leggo il programma e mi prendo un’ora per cercare su Youtube di capire cosa si ascolterà e vedrà.
Il Terraforma presenta sempre lineup che un po’ spiazzano e forse il bello è proprio questo, almeno una delle sue cose belle.
Già intenzionato ad andare quest’anno c’è stata la fortuna di vincere due biglietti con Modalità Demodè, 2 pass per 3 giorni con tanto di campeggio. Bomba.
Ma la fortuna così sfacciata chiede dazio. Chi vi scrive aveva nello stesso weekend, il passato, un matrimonio di un amico sabato e un compleanno di un’amica venerdì e quindi davanti all’amore (di altri) e all’amicizia alziamo le mani.
Quindi vi racconterò di domenica e più che una recensione sul Terraforma, questa sarà una raccolta di impressioni e di quello che è rimasto i giorni successivi. Sicuramente fare la 3 giorni dormendo nel camping credo sia un’immersione totale, più potente.
Partiamo dalle impressioni.
L’organizzazione sembra buona, il servizio di sicurezza ben gestito, si paga con i gettoni che si comprano in cassa, peccato le birre vengano 5 euro, birre bionde senza particolare valore e con questo caldo il rischio è lasciare giù un piccolo capitale a basso tasso alcolico. Purtroppo in Italia abbiamo questa logica della birra a 5 euro che non si spiega. In altri festival noto che si sta diffondendo l’abitudine di fare pacchetti abbonamento con entrata per l’intero festival con consumazioni a prezzi vantaggiosi (ad esempio 3 giorni e 10 birre), potrebbe essere un’idea. In altri, ad esempio al Sonar ti danno un bracciale su cui caricare i soldi che però ti fanno spendere più di quanto vorresti non avendo moneta sonante in mano.
La location di Villa Arconati è a dir poco bella, ero già stato per i concerti che ogni anno organizzano, ma qui ammetto che sono andati oltre. C’è una vera immersione della musica nello spazio antistante alla Villa, una simbolica galleria luminosa di neon accompagna al palco principale che riprende la forma degli archi luminosi con una struttura in legno e piastre argentate che riflettono la luce, molto suggestivo. Poi c’è il secondo palco che in realtà è un non palco perchè si balla a piedi nudi sul prato con il dj su un banco all’altezza del pubblico e un soundsystem di casse intorno e la gente sdraiata intorno a chi ancora ha la forza di ballare. E poi c’è il labirinto, un’installazione di neon verticali che nella notte diventano palco per una esibizione visiva e musicale di grande potenza.
Il pubblico è per buona parte straniero, probabilmente il festival è diventato abbastanza famoso all’estero, un pubblico abbastanza radical che per quanto dia l’impressione di immergersi in un’atmosfera hippie si vede che di veramente hippie ha poco, un po’ radical chic. Belle ragazze italiane, inglesi, tedesche e nordiche.
L’atmosfera è bella e avvolgente, la gente pacifica, non ci sono situazioni critiche, la sicurezza non deve mai intervenire, forse l’immersione nel verde aiuta e il binomio elettronica-natura pacifica gli animi e su quello le sostanze psichedeliche, chiamiamole così, aiutano a raggiungere un generale stato di armonia con l’ambiente intorno. L’elettronica piaccia o no va in quella direzione, almeno in buona parte.
La programmazione della domenica prevede Tropical Disco Sound System e Still che mi sono perso, ma l’alcool del matrimonio la notte prima non permetteva un risveglio dei migliori, quindi Beatrice Dillon con un gran sound e una chiusura in salita inaspettata quasi ispanico-latina. A seguire Adrian Sherwood con un set che partendo dai cult del reggae tocca la drumnbass e la dub e Paquita Gordon che come sempre un po’ spiazza partendo lenta con dell’etnico accelerando e toccando una quantità di tracce differenti alternando house, funky, reggae, roots, percussioni, della tribal fino a un pezzo strumentale di Battisti. La sua capacità è farsi seguire sempre e la ragazza è aiutata da un fascino tutto suo. Quindi i Primitive Art tra la dancehall e l’industrial il tutto aiutato dal suggestivo impatto del vocalist, Federmelder con l’intsallazione nel labirinto di neon che crea un’atmosfera che spezza il pubblico tra quelli che si siedono sul prato a guardare lo spettacolo e chi continua a ballare. Chiude nell’area Camping Marco Shuttle con un aftershow.
Di questo Festival ricorderemo Paquita Gordon, quanto è affascinante, il francese Brice che vagava in costume e borsello in stato catatonico, l’odore di cane bagnato che saliva ballando (dovuto al temporale della notte prima), il tuffo nel fosso cercando di aggirare il boschetto e il ritorno con il motorino fradicio di melma e fango, le ragazze che ballano sotto il sole, la raccolta dei 15 bicchieri vuoti per avere 1 birra free, vero contest del pomeriggio per il pubblico assetato, l’effetto del labirinto e degli archi al neon quando è scesa la notte e l’idea di fare la 3 giorni l’anno prossimo.
Al prossimo Terraforma”.