Un articolo del Guardian un paio di giorni fa, ha riscaldato la tematica del vivere all’estero, o meglio del come considerarsi, quando si espatria e quando si emigra?
Va tanto di moda il termine “expat”, ma quale è la differenza con l’immigrato?
Sono expat i nordafricani che vendono agli angoli della strada? Eppure sarebbero immigrati anche i professionisti europei a Singapore.
Negli ultimi tre anni ho vissuto prima da expat e ora da immigrata. In Indonesia, tutti gli occidentali, anzi senza falsi razzismi, tutti i bianchi sono expat e nonostante lavorassi, abitassi, facessi la spesa come una qualunque altra persona, vivevo il ghetto dall’altra parte, quello dorato e riverito della comunità di espatriati. Adesso in Australia, sono un’immigrata, ho lo stesso status di ogni altra etnia arrivata qui per un motivo o per un altro. Più di una volta in fila a svariati uffici tipo la ASL o l’anagrafe, ero l’unica bianca, un paio di volte l’unica senza un interprete che traducesse dall’arabo o dal cinese per me.
Nell’articolo sopra citato, si insinua che ogni paese considerato culturalmente “superiore” (vedi occidentale) non rilascia immigrati, ma espatriati. Anche se con un lavoro altamente qualificante un africano sarà sempre considerato un immigrato in Europa, mentre accade esattamente l’opposto andando in un paese economicamente meno sviluppato.
Alcuni vogliono leggerla in chiave emotiva: l’expat è quello che ricerca i suoi usi e costumi nel paese ospitante, fa gruppetto con i connazionali, frequenta posti che lo fanno sentire a casa, vive ancora le sue tradizioni in territorio diverso (in breve se la gode); l’immigrato cerca di integrarsi e farsi accettare dalla comunità (si fa il mazzo).
Comunque sia, senza falsi ipocrisismi, si riduce tutto a una questione di potere, se hai la domestica locale, sei un expat, provieni da un paese ricco e hai un potere di acquisto diverso, o almeno fino a qualche anno fa…l’Europa adesso dovrebbe rivedersi due o tre preconcetti, prima di essere totalmente acquistata dagli immigrati cinesi, pardon, dagli expat asiatici.
Più che la definizione, quello che preoccupa tutti gli emigrati, è la questione “visto”. Un fardello con il quale ognuno deve fare i conti (salati) che sia lavorativo, per la pensione, per la coppia, la questione “Visa” equivale a un mucchio di scartoffie, documenti, timbri e pagamenti . È con il timbro che torniamo tutti uguali…tutti in balia di un “approvato”, quando le cose vanno bene.
Alla fine, in due parole, direi che gli expat se la tirano, invece gli immigrati provano a fare i locals. A voi la scelta!