“La cucina fusion è quel tipo di cucina che combina, in maniera esplicita, elementi associati a differenti tradizioni culinarie per produrre menu o piatti complessi non riconducibili ad alcuna tradizione culinaria precisa.” (fonte: wikipedia)
Vero. Altrettanto vero è che di tutte le combinazioni possibili, Luca e Ben, rispettivamente eclettico direttore del ristorante con il pallino del bien vivre e giovane chef di solidi principi culinari, hanno deciso di intraprendere una nuova sperimentazione di sapori distanti migliaia di km tra loro. Mi in cinese significa riso, un cereale che accomuna tutti i paesi del mondo, metafora di una cucina che abbraccia cinque paesi tra Oriente e Occidente: Giappone, Thailandia, Malesia, Spagna e Italia.
Luca, salutista e cultore dei sapori semplici e buoni con una vita dedita all’alta ristorazione, incontra Ben, giovane (ma potrebbe sembrare giovanissimo!) chef di Hong Kong, cresciuto a pane e fornelli nel ristorante del papà, che ha deciso di intraprendere il suo percorso in cucina con uno spirito piuttosto innovativo per un cuoco cinese: la riscoperta dei sapori autentici e l’abolizione del glutammato di sodio (Per chi non lo sapesse: il glutammato monosodico è un sale ed è un ingrediente ormai talmente sdoganato da essere parte integrante della cucina pan-asiatica. Difficile non trovarlo, è l’arma a doppio taglio della cucina: insaporisce moltissimo ma copre totalmente i sapori). Ben elegge l’Italia come sua patria (‘si vive così bene qui, non è fenetico come Hong Kong!’ Eh beh!), mette su famiglia e nel frattempo dedica le giornate allo studio minuzioso della cultura culinaria ‘crossover’.
Il risultato è una cucina semplice che basa ogni ricetta su pochi ingredienti fondamentali con la giusta convinzione che la pulizia dei sapori sia il modo migliore per apprezzare un piatto.
Ed eccone alcuni, di piatti: carpaccio di branzino freschissimo con salsa segreta dello chef, tobiko (uova di pesce volante) e un filo d’olio d’oliva (come Luca ci spiega, il loro olio arriva dalla Puglia ed è di prima scelta, e si sente), tartare di tonno in cono wanton, spiedini di pollo grigliato con salsa di arachidi, proseguendo con ottimi dim sum al filetto di manzo irlandese con tartufo bianco e caviale, e una seconda variante ai gamberi e nero di seppia. Come secondo, spiedini di gamberi freschi accompagnati con salsa di cocco malese al curry (davvero buona) e riso selvaggio cotto in foglia di loto. Il tutto innaffiato da uno Sharis di Livio Felluga, storica cantina friulana di cui Luca è fervente sostenitore.
Piatti di qualità, interessanti e non scontati, con alcune proposte dedicate anche a chi non può mangiare glutine. Tutto fresco, niente di surgelato o conservato. Motivo per cui questo posto è un po’ più speciale rispetto agli altri: dalle salse, più o meno elaborate, alla pasta utilizzata per involtini e ravioli, tutto è tirato a mano e fatto in casa. Ogni santo giorno.
Il risultato è senz’altro di livello, e lo dimostra anche solo il fatto di alzarsi da tavola leggeri, ma appagati.
Completa l’esperienza l’ambiente informale ed accogliente, ma curato fino al minimo dettaglio: bambù e legno chiaro, carta da parati, soffitti con mattoni a vista e un gioco di luci con particolari lampadari in ferro.
MI-CUCINA DI CONFINE è aperto a pranzo e a cena, da martedì a domenica.
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