ELENA BORGHI

Il mondo onirico fatto a mano

Anni fa entrai all’Ostello Bello e rimasi colpita dal concept così fresco, familiare e al tempo stesso estremamente curato. Un uccellino mi sussurrò il nome dell’ideatrice: Elena Borghi.

Lei è un vulcano pronto ad esplodere, sempre in attività che getta zampilli cocenti come fiumi di parole (scritte) taglienti, ironiche, una dialettica arguta che ti richiede attenzione, dedizione. La sua conoscenza è travolgente, indimenticabile, la sua impassibilità nell’utilizzo di espressioni colorite, che cozzano con un aspetto da signorina d’altri tempi definiscono perfettamente il suo stile, ripeto indimenticabile.

Le sue opere aprono le porte di mondi magici, ancestrali e risentono dei contrasti di una personalità visionaria in costante crescita, nutrita da pulsioni ed emozioni quotidiane, la sua matita scorre veloce e le idee impazzano nella testa, giorno e notte, in un febbrile stato creativo che la consacra quale una delle più interessanti giovani illustratrici e set designer italiane.

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Come nasce una personalità così poliedrica?

Credo abbia a che vedere con il bagaglio che custodiamo da prima della nascita, con la geometria piana degli eventi e la geometria solida degli intenti. A questa ricetta aggiungo una grattatina di avversione verso la noia e refrattarietà all’assenza di stimoli. Se mi guardo indietro comprendo che sin da bambina ho avuto una sorta di curiosità ingorda verso tecniche, materiali, ma anche una propensione a osservare natura, oggetti, percepire sfumature e stati d’animo nelle persone. Quindi credo che siano curiosità unita a operosità priva di svogliatezza a determinare la poliedricità oltre che una naturale componente caratteriale a svilupparla.

I lavori che ti sono rimasti nel cuore.

Partono tutti da lì, dal cuore dico, ma poi, appena li finisco o li allestisco ovvero appena acquistano il loro vero senso, vanno altrove: nel cuore di chi li vuole accogliere, spero.

Non ho un senso di appartenenza verso quello che faccio, non li sento miei perché mi sento un veicolo che rende concreto ciò che è già della collettività, realizzo quello che devo e poi lo lascio andare. Certamente voglio bene a tutti loro, a quelle creaturine che faccio nascere con amore e abnegazione, ma non ho quel senso di possessione o gelosia che me li fa tenere stretti. Mi sento un po’ come una di quelle mamme capaci di crescere i figli e poi lasciarli andare per la loro strada con altruismo, un po’ come sono stati i miei genitori con me.

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Milano, tutti creativi. Ne siamo davvero convinti? Abilità manuale e sapienza nell’utilizzo degli strumenti del mestiere non credo siano veramente di tutti.

Non lo credo neanche io anche perché, diversamente, vorrebbe dire che abile non lo è nessuno. Non è una componente caratteriale a determinare la conoscenza dei vari processi realizzativi. Bisogna esserci passati ed essersi sporcati le mani. Mi diceva mia mamma “Non puoi far lavare il gabinetto agli altri se non l’hai mai lavato tu per prima poiché non saresti in grado di comprendere se il lavoro è stato fatto bene”. Constato che molto spesso le persone pensano di intraprendere un’attività creativa considerando prima il successo (che vogliono ottenere in fretta) senza concentrarsi verso il miglior percorso da fare in termini di esperienze formative. Personalmente mi stupisco ogni volta che le incontro.

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Dormi la notte o le tue mille idee arrivano di giorno?!

Dormo eccome! Anzi, io sono una grande sostenitrice delle maratone di resistenza a letto e mi sento di appoggiare un po’ tutte le discipline a riguardo. Mi inquieta chi pensa che dormire corrisponda a perdere tempo, per me è l’esatto contrario. Dormire mi fa ricaricare la batteria, riposare la mente e consente al mio corpo e al mio spirito di ripartire con uno slancio rinnovato. Nonostante le tensioni emotive che il mio lavoro provoca, ho ancora il sonno dei Giusti dalla mia parte. Non soffro d’insonnia ecco, dormo serena perché so di potermi guardare allo specchio senza vergognarmi di me stessa ma sorridendomi. L’unica virtù forse eccezionale rispetto alla media che ho davvero riconosciuto a me stessa, è che sono molto resistente ma una volta ogni sei mesi, almeno, devo fare una dodici ore di sonno no stop! Il mio record personale è stato diciannove ore senza svegliarmi, praticamente avevo il metabolismo di un pesce in uno stagno ghiacciato e ci tengo a precisare che la sera prima non avevo neanche bevuto eh? Tutta natura.

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Dici di te “coltivatrice di parole dimenticate”. Quanto i social/blog hanno alimentato la tua passione per la scrittura?

Ci tengo a precisare che a dirlo di me è stata una mia amica copy, Elena Carella. È un’analisi utile per certi versi farsi definire dagli altri e io mi sento molto contadina perché non sono certo mani di intellettuale le mie. La scrittura è stata strumento spontaneo fin da piccola come, del resto, anche quello della lettura quindi non me li sono mai posti come passione. A nove anni decisi di scrivere una raccolta di novelle così, dopo i compiti che facevo di corsa, cominciavo il mio secondo lavoro ovvero battere a macchina racconti che inventavo durante interi pomeriggi passati appollaiata sull’albero del giardino dei miei nonni. Stavo lì e parlavo da sola, con mia mamma che mi guardava dalla finestra preoccupata. Finito di battere il racconto realizzavo l’illustrazione della scena che consideravo più importante. In pratica facevo un post però era il 1984 e io ho collegato solo nel 2011 quando, un’altra amica, Valentina Sansoni, mi convinse ad aprire il mio blog, fiutando cose di me che io avevo perso di vista. La mia seconda virtù eccezionale rispetto alla media che ho davvero riconosciuto a me stessa è essere circondata da amici straordinari.

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Se ti incontro sei così bon ton, curatissima nel tuo look che risente delle inflessioni anni Cinquanta ma dentro ribolle il fuoco veneto! Raccontaci le tue passioni e come vivi la tua giornata.

*rido* Una cosa non esclude l’altra no? E poi mia mamma mi diceva “Come sei vintage!” anche nel 1990 ovvero in tempi non sospetti.

Ovviamente sono cosciente della dicotomia nel mio essere: una certa sensibilità espressa con il lavoro manuale e con l’illustrazione, una certa trivialità espressa con la parola, sia scripta che volant.

Sono una persona che si entusiasma molto e di tutto, soprattutto per le piccole cose semplici. Lo so, suona un po’ come una risposta da Miss Italia ma, forte del mio metro e sessantacinque di altezza e della mia taglia 44, confido mi crediate. Scoprire una nuova trattoria, prendere un treno a caso, pedalare e notare angoli nuovi della città, cucinare per me stessa o per gli altri o pranzare al sole nel mio minuscolo terrazzino che adoro, tutto mi entusiasma in modo incontenibile. A volte condivido con chi mi è accanto, a volte tengo queste gioie per me. Quando esco dalle mie bolle lavorative, amo perdermi e osservare il mondo e tutto ciò che lo compone, mia ispirazione continua. La mia giornata è molto metodica: mi sveglio presto, in modo da avere un paio d’ore di tranquillità per svolgere compiti come social, mail o per raccogliere idee e disegnare senza interruzioni. È dedicata al lavoro che eseguo con metodo e disciplina: se sono in periodo denso non esco, non trascorro serate che possano stancarmi, vado a letto presto perché il tempo che è passato mi fa accusare il colpo e le energie vanno dosate sapientemente. Eppure la mia giornata metodica è anche imprevedibile: ogni giorno, appena sveglia, mi chiedo: “Chissà cosa succederà oggi?” e accade sempre qualcosa di incredibile e inaspettato.

Il posto dove ti senti bene.

«Il mio tavolo da lavoro è un po’ come un’isola: potrebbe essere qui come in un altro paese». Lo diceva Italo Calvino e io non potrei mai dirlo meglio di così. È una dichiarazione che sento vicina a come sono: potrei stare ovunque e l’ovunque è dove sono, non sento i confini, non sento l’appartenenza a un luogo, eppure amo visceralmente ogni luogo in cui risiedo, mi sento figlia del mondo e amo l’Italia, sono orgogliosa del mio Paese eppure mi fa anche vergognare e arrabbiare così faccio in modo, nel mio piccolo, di cambiare in meglio le cose. Sento di dover stare ancora qui ma domani chissà. Non pongo limiti a niente e nessuno. Rifiuto i limiti quando cercano di impormeli.

Elena Borghi in un disegno! (Ci dedichi uno schizzo?!)

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Abbiamo avuto una “soffiata” su un tuo libro in uscita… Ci anticipi qualcosa?

Non me ne rendo ancora bene conto confermo che la prestigiosa casa editrice Logos, che ho sempre amato, mi ha contattata con la volontà di pubblicare una monografia sui miei papercraft. È una notizia molto bella che non sento solo come un successo mio ma anche delle persone che hanno lavorato con me. I miei clienti che per primi hanno intuito di credere in quello che faccio ma anche la mia famiglia, i miei amici, che molto spesso lavorano insieme a me e, ovviamente, il mio editore. L’uscita è prevista per metà maggio e stiamo correndo contro il tempo per farcela a curare bene ogni aspetto.

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Un altro appuntamento appena concluso è stato al Fuorisalone 2015. Ho presentato, presso il negozio di Cavalli e Nastri Uomo – Olivinta in Via Gian Giacomo Mora 3 a Milano, una collezione speciale per la tavola. La prima esperienza la feci sempre con loro nel 2013 con INKANTO che ora evolve in SHAMELESS – Nature’s Worst Collection, animata dalla brulicante presenza di spudorati insetti che vogliono rivendicare la loro bellezza nonostante nulla abbiano a che vedere con le delicate decorazioni tipiche della nobile tradizione delle porcellane.

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Dulcisis in fundo … Che modalità hai in testa?

Una modalità demodè, senz’altro. Cerco sempre di migliorarmi con l’autocritica, evitando il più possibile di dare la colpa agli altri dei miei insuccessi o problemi perché credo che nessuno abbia questo potere su di noi. Certo, poi lo stronzo si incontra eh? Però evito di sguazzare nel vittimismo: oltre a non farti concludere nulla e a farti sembrare la protagonista di qualche soap opera scadente, quel genere di attività fa disperdere un sacco di energia.

La mia modalità è imparare da ogni esperienza, da ogni incontro, girando la faccia verso l’interno per dirmi delle cose, spesso con feroce onestà, rifiutando la parola fallimento che a mio avviso, è inesistente. Non è il fallimento a fermare le persone ma la mancanza di volontà a ricominciare da capo quando un’esperienza si conclude e poi ancora e ancora, con slancio, con ottimismo, con impegno. «Eh ma è difficile!» mi dicono quando esorto a seguire le proprie inclinazioni e a perseguirle con più perfezione possibile. Sarà ma, secondo la mia modalità, è molto più difficile portarsi il fardello di un’esistenza che non ci appartiene. Non potrei proprio.

Credo che anche grazie alle esperienze dure e umilianti che mi hanno forgiata a suon di schiaffoni, oggi più che mai sono darwinianamente propensa ad adattarmi al cambiamento. Ecco cosa conta davvero, secondo la mia modalità: fiutare l’aria e non smettere di evolvere perché il talento, quello, è solo l’1% della faccenda.