140 metri quadrati di carta incollata
23 artisti della scena italiana
42 persone nel tunnel del Parco del Valentino
1 ora di lavoro
1 esposizione non autorizzata
0 curatori, critici, organizzatori
0 compensi
0 euro di guadagno da tutto ciòquesto è SHIT ART FAIR.
La merda è sempre stata un veicolo di contestazione artistica. Perché oggi ritorna prepotentemente ad Artissima? Quasi tutto quello che viene normalmente esposto nelle fiere d’arte contemporanee è merda di finissima qualità. Merda che tuttavia cela la sua natura, proclamandosi opera d’arte, feticcio sul piedistallo da adorare e comprare. È quindi merda che finge di non esserlo. Noi abbiamo creato “Shit Art Fair”, fiera dell’arte di merda, una fiera che già dal titolo ammette la sua natura, senza trucchi o finzioni. Non abbiamo la pretesa di stabilire che quello che abbiamo creato sia “arte”. Lasciamo al pubblico il ruolo di definire ciò che facciamo, mettendolo sul piedistallo o cagandoci sopra (ruolo che solitamente è occupato in modo spregiudicato e invadente dai critici).
Chi siete e che fate. Siamo un gruppo indefinito di persone che lavora nelle strade e negli spazi urbani, contaminandoli con messaggi e provocazioni. Il nostro lavoro tenta di stabilire un contatto diretto e paritario con il pubblico, eliminando figure intermediarie come critici e curatori. Siamo i curatori di noi stessi. I disegni che attacchiamo in strada sono un’imposizione verso il pubblico, è vero, ma il pubblico può agire su di loro apprezzandoli, strappandoli o ignorandoli. Prediligiamo le azioni illegali in strada agli eventi ufficiali e organizzati, lavoriamo sempre in questo modo, cercando di produrre qualcosa di concreto per le persone comuni che abitano la città.
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Lo scenario della urban art in Italia. Possibili scenari futuri o meglio lontano da qui? L’arte urbana oggi è diventata un fenomeno pop-underground. Ragazzini qualunque con cappellini di Obey, la cinese in visita a Firenze con la t-shirt di Banksy. Tutto è stato inglobato e riadattato per il mercato, anche i graffiti di Futura 2000, quasi subito buttati su tela, poi stampati sulle etichette del Cognac. In Italia, come ovunque, si fanno le mostre e i festival di street art, e si continuerà a farli, perché hanno il coinvolgimento della festa paesana e la pretesa dell’evento alternativo. E vanno bene così; tra la tanta marmaglia si vedono sempre artisti in gamba e opere belle.
La tendenza a fare cose più spontanee e non autorizzate si è un po’ persa da quando negli anni Duemila, la “street art” è diventata un fenomeno di massa e di moda, e tutti si sono ritrovati all’interno di uno scenario più istituzionale senza troppo accorgersene, invitati a partecipare a eventi e festival essendo pure retribuiti per il proprio lavoro. Perché dire di no? Infatti. Tuttavia oggi, consapevoli di ciò, si può scegliere parallelamente di mantenere un’attitudine più discostata dalla street art patinata che i blog promuovono e che i giornali mettono in copertina. Bisogna smetterla di ragionare su dibattiti obsoleti come “street art versus galleria” vecchi di dieci anni. Invece di criticare un sistema, crearne altri possibili. C’è bisogno di parlare ma soprattutto di agire, e il modo migliore di agire è tornare in strada a produrre cose, seppur grezze, ma almeno spontanee.
Qualche nome da seguire. Troppi. C’è tanta gente molto brava nella scena dell’arte urbana attuale. Facciamo però due nomi, uno famosissimo uno poco conosciuto. “Blu”, un nome scontato, ovvio, tuttavia per noi il “King” della street art. Il migliore in quanto a tematica, stile, soggetti, attitudine e approccio alla strada. Lui se ne frega delle sfumaturine “leccate” alla “Aryz”, con un muro grezzo vale dieci murate di altri artisti. Poi un ragazzo che sta iniziando adesso a fare le prime cose, “Frenulo” in giro vedrete alcuni suoi poster, qualche muro, ma online ancora niente; per adesso non gli interessa la pubblicità mediatica e i “like” su Facebook, sta lavorando in strada, questo gli basta.
Da che tempo è tempo le convenzioni mass mediatiche hanno sempre fatto incazzare gli artisti ma alla fine sono state spesso lo spunto per i pezzi migliori. Oggi con chi ce l’avete? Il nostro lavoro di guerriglia urbana è nato, e continua in parte ad essere, un lavoro “contro”, un lavoro predisposto a criticare e denunciare determinate cose. Abbiamo iniziato le nostre invettive contro il mezzo televisivo (denuncia superficiale che tutti hanno fatto, ma che crediamo, nonostante ciò, continui ad essere attuale in un paese dove il dopo-lavoro consiste nel decomporsi sul divano di fronte ad uno schermo), e tutt’ora lavoriamo “contro” svariate tematiche e luoghi comuni. Questo crediamo sia un nostro difetto: lavorare “contro” e non a favore di qualcosa. Spesso demoliamo e denunciamo delle realtà senza costruirne delle altre, ma crediamo tuttavia che se sentiamo la necessità di criticare un sistema, allora è opportuno farlo, anche senza possedere soluzioni alternative. Il nostro obbiettivo comunque rimane quello di arrivare un giorno a produrre un lavoro che crei qualcosa di concreto per le persone, che produca opportunità e non solo distrugga concezioni esistenti che rifiutiamo. In fin dei conti attaccare poster nella nostra situazione è un gioco borghese di nicchia molto privilegiato e facile; è simile a una masturbazione. Andiamo in giro, attacchiniamo sui muri quattro messaggi che saranno comunque letti, capiti, fotografati, probabilmente solo da persone del nostro stesso status sociale, con simili interessi e idee, e poi e andiamo a dormire. Non rischiamo molto, tutto al più una denuncia, una multa da pagare. Questo non va bene, non cambiamo concretamente nulla nelle persone. Dovremmo rischiare molto di più.
In definitiva oggi siamo “contro” a molte cose, abbiamo le idee chiare e continuiamo a lavorare in strada, perché indipendentemente da tutto, abbiamo capito che questo è il luogo giusto dove stare. Siamo consapevoli di quel che produciamo di positivo ma anche dell’immobilismo critico nel quale siamo immersi. Questo è importante, essere sempre consapevoli di ciò che si è.
Domanda di rito: che modalità avete in testa? Una modalità proiettata all’esterno, diretta alla strada come spazio urbano da invadere e contaminare.



