PIETRO NICOLAUCICH

E' l'illustrazione ad aver scoperto un friulano!

Entriamo in punta di piedi nella stanza dei sogni di Pietro Nicolaucich, illustratore friulano che seppur giovane vanta un passato di collaborazioni con noti brand.

Il suo immaginario si schiude dinnanzi a noi come un forziere e libera un tesoro fatto di ricordi appannati, mete fantasiose e sogni lontani in cui i limiti dell’età adulta non sono ancora sopraggiunti. Vorrei stringere forte quell’atmosfera in cui tutto era possibile, in cui gli abissi erano le case dei mostri marini e non l’ansia della sveglia, i boschi il regno di fate e folletti e l’arcobaleno era la spiaggia degli animali di Noè. Voglio sognare ancora questo.

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Come un giorno un friulano scopre la passione per l’illustrazione.

Non è stata una scoperta. Nessuna epifania. Niente “EUREKA!”. Lo faccio consapevolmente da che io ricordi, prima ancora di imparare a leggere e scrivere. È accaduto il contrario: è l’illustrazione ad aver scoperto un friulano. Sono un autodidatta.

Quando si cresce spesso si dimenticano gli oggetti fantasiosi e i mondi sommersi che popolavano i nostri pensieri. Il tuo immaginario dove trae ispirazione?

Io sono cresciuto in montagna, a Tarvisio. Da piccoli passavamo tutto il tempo nei boschi. Facevamo parte di bande rivali, costruivamo fortini di legno d’estate e scavavamo tunnel nella neve d’inverno. Immaginare i giochi e immedesimarsi in situazioni fantastiche era molto più facile in quel contesto. Quella sensazione non mi ha mai abbandonato, e oggi è un bagaglio di idee inesauribile a cui attingere in qualunque momento. Se a questo aggiungi i romanzi d’avventura che mi hanno formato, l’equazione è risolta.

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Hai avuto notevoli collaborazioni, quali sono stati i progetti più interessanti?

Non sempre lavorare per le grandi aziende equivale a uno stimolo. Spesso sono stato costretto a fare cose che differivano moltissimo dal mio stile e dal mio immaginario, o a modificare un bel progetto fino a renderlo vuoto e impersonale. L’ultima parola troppo spesso sta a qualcuno che non ha la sensibilità artistica per apprezzare un bel lavoro, ma vuole comunque imporre le sue idee, costringendoti a modifiche inopportune.

Le collaborazioni migliori, quelle in cui sono stato più libero di agire, sono state quelle in ambito musicale. Su tutti le copertine che ho fatto per i dischi dei Sadside Project. Non saranno il nome più prestigioso per cui ho collaborato, ma di sicuro sono stati i lavori che di più hanno vibrato nelle mie corde. Mi hanno dato molta soddisfazione anche le collaborazioni con Ghemon e con il Treviso Comic Book Festival.

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E’ difficile al giorno d’oggi lavorare come illustratore?

Per quanto mi riguarda sì. E lo dico da uno che lo fa come unico mestiere, e non nei tempi morti di un lavoro d’ufficio. Bisogna tenere duro e risparmiare, perché tra un lavoro e un altro può passare molto tempo. Poi la partita iva ha dei costi molto elevati, e troppo spesso il nostro è un lavoro sottopagato, perché le aziende non riescono a comprendere quanto lavoro, sforzo, fatica e tempo ci siano dietro a un’illustrazione. Altre volte per fortuna va meglio. È sempre un’incognita, è scostante e per certi versi ingiusto. Ma è il lavoro più bello del mondo e mi reputo molto fortunato a riuscire a (soprav)vivere disegnando.

L’illustrazione a cui sei legato di più e perché.

Se la giocano “Sogni Corsari” e “Christmas fox”. Mettendole insieme c’è tutto il mio immaginario: l’infanzia, i notturni, le visioni aeree, la montagna, il mare, il cosmo, la neve, il sogno, il natale, volpi, balene, cervi, piovre, navi… Le mie due identità che pur essendo antitetiche, si sposano tanto bene tra loro.

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La neve e il mare sono sempre presenti. Perché?

Come dicevo il mio immaginario è figlio di due esperienze. Una diretta, ovvero quella della mia infanzia tra i boschi delle montagne tarvisiane, e tutto ciò che questo può implicare: dal contatto con la natura e le sue materie, al folklore, al legame con le tradizioni nordiche, ai climi rigidi e puri in conciliante contrasto con il tepore del ristoro e del focolare domestico, al gioco nel senso più ampio e creativo del termine. L’altra indiretta, ovvero quella della letteratura: dai grandi autori di classici d’avventura come Conrad, Verne, Stevenson, London, Kipling e Salgari, ai mostri della letteratura per l’infanzia come Grahame, Sendak, Milne e J.M. Barrie, al realismo magico di Calvino, Buzzati e Borges, fino ai contemporanei geni inglesi del genere fantastico come Neil Gaiman e Alan Moore. La somma di queste due esperienze è l’elemento ricorrente che sta alla base dei miei lavori.

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Un luogo che ti fa sentire a casa.

“Nessuno posto è bello come casa mia” diceva Dorothy nel Mago di Oz. Niente di più vero. La valle in cui sono cresciuto, la “Val Canale”, è la sola che casa che considero davvero tale.

La prima immagine al risveglio.

Se sono fortunato, il ricordo di qualche sogno bello complesso che ho fatto durante la notte. Se sono sfortunato, un breve esame dell’ordine del giorno.

L’ultima prima di dormire (ehehe)!

Non so perché, ma quasi sempre immagino di correre in un bosco con un arco in mano, la freccia incoccata, la corda tesa, pronto a tirare ad un bersaglio imprecisato che mi aspetto di incontrare da un momento all’altro, ma prima che si manifesti mi addormento.

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Segnatevi questo appuntamento per vedere in esclusiva i lavori di Pietro: venerdì 10 aprile dalle 19.00 in via Bonghi 8 (via Privata Salento), all’interno degli itinerari della manifestazione MOYDOM, Modalità Demodè vi invita a riscoprire sogni e pensieri di un’età passata eppure mai dimenticata.