Stefania Gentile gioca con le forme e i materiali e realizza i suoi gioielli “unestetici” e componibili attraverso una reinterpretazione in chiave contemporanea degli stilemi dell’accessorio anni Cinquanta.
L’estetica di Kant univa il bello soggettivo a quello naturale nell’espressione del sublime. Gli anestetici sono una classe di farmaci che inibiscono la conduzione nervosa. Unesthète è il purgatorio?
Forse in un certo senso si. Questo nome in realtà richiama il termine esteta in senso “wildiano”, proprio per un legame affettivo e personale che ho con quel mondo, ma al tempo stesso rimanda per me ad un certo concetto di “inestetico”, inteso come qualcosa di “poco bello”, cosi come è stato sempre percepito il velcro fino a questo momento, tanto da essere usato solo per la sua funzione di chiusura, all’ interno dei capi o degli accessori.
Ricerca, scoperta, conquista. Approdare ad un’idea è liberatorio, vederla realizzata è appagamento. Ora cosa succede?
Il passo successivo è un vero e proprio lavoro in quanto da quel momento iniziano tutti i passaggi che rendono l’idea un “prodotto” vero e proprio.
Accessori liberi dagli schemi. Materiali inusuali e un packaging sottovuoto. Qual è il fil rouge?
La reinterpretazione. Ognuno di noi dovrebbe poter reinterpretare un oggetto. E questo è sempre stato il mio punto di partenza.
Concezione antica quello del gioiello, ornamento prezioso e segno di appartenenza sociale sdoganato dalle mode a volte eccessivo e dirompete altre pura forma disegnata nell’essenza di un simbolo. Fonti di ispirazione.
I gioielli dagli anni ’20 agli anni ’50. Le donne che non escono mai senza ma che hanno il potere di far sembrare che quei gioielli siano naturalmente parte di loro.
Lo spazio di azione di Stefania.
La mia casa. Il mio divano. E la strada per osservare gli altri quando sono stanca solo di me stessa.
Un classico delle nostre interviste possibili.. Che modalità hai in testa?
Un turbante di velluto nero di mio nonna.