CALL ME BY YOUR NAME

Guadagnino colpisce ancora al cuore

Uno dei registi italiani più talentuosi e meno considerati in Italia, Luca Guadagnino, ha diretto l’ennesimo capolavoro, che sembra quasi la conclusione di una trilogia eccezionale iniziata con “Io sono l’amore” e “Bigger splash”.

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Call me by your name, adattamento di una novella di André Aciman, uscirà nelle sale italiane a fine  Gennaio , quindi ho approfittato di una grigia giornata londinese per guardarlo in anteprima in lingua originale (doppiato perderà tutta la bellezza dei dialoghi che sono contemporaneamente in francese, inglese, italiano e un po’ di dialetti del nord Italia).

La trama: sono i primi anni ’80 un ragazzo diciassettenne ebreo italo/francese, Elio, passa le estati in una splendida villa “somewhere in the north of Italy” con la sua famiglia. Suo padre, professore universitario, ospita ogni anno uno studente straniero per sviluppare la sua tesi. Quell’anno arriva dagli States Oliver, giovane bello e disinvolto…

Non vi racconterò altro perché come ha detto lo stesso regista una recente intervista in Italia bisogna iniziare a porre più attenzione alla forma che al contenuto.

Anche perché al di la della storia quello che vi rimarrà del film sarà quella sensazione di sole che riscalda la pelle in piena estate nella campagna italiana, i sapori e gli odori, le piazze dei paesini di provincia che tutti conosciamo bene. A chi è nato intorno agli anni ’80 resterà quella nostalgia di un’epoca che ci è passata sotto gli occhi senza che ci rendessimo conto della fortuna di viverla. Così come avrete nostalgia dell’adolescenza ingenua che scopre la malizia, le pulsioni, la sofferenza (quella bella).

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Le camicie a righe, le polo lacoste, i wayfarer, lo zainetto giallo invicta, il walkman con le cuffie, la cabina telefonica, il telefono grigio della sip, la musica anni 80 e il modo di muoversi a ritmo, e ancora le converse bianche, i bermuda a vita alta con le pinces, le insegne dei bar…

Mi direte che la maggior parte di queste cose esistono ancora, anzi alcune sono tornare di gran moda, ma è c’è una grandissima differenza. La genuinità e la realtà tangibile in cui tutto accade, in cui le camicie a righe sono indossate nella campagna cremonese come a NY, prima di instagram, prima degli iPhone, prima di tutto. La semplicità con cui si scoprivano le cose, si assecondavano le pulsioni, la spontaneità con cui le prime esperienze si facevano d’estate, tempo e luogo sospeso quando tutto era possibile. La prima sigaretta, il primo libro che ci cambia la vita, il primo bacio, iniziare a capire gli adulti e ad imitarli maldestramente, a desiderare il sesso e scoprirne le sue forme, a cambiare pelle e divenire qualcun altro nel breve tempo di un agosto. Salutare qualcuno dal treno senza potergli scrivere qualche minuto dopo.

Ricordo di aver provato la stessa sensazione (con le dovute differenze dovute all’età, ai tempi sebbene non fosse nostalgia ma aspettativa) dopo aver visto Io ballo da Sola di Bernardo Bertolucci, altro regista italiano che ha saputo rendersi internazionale pur raccontando spesso la bellezza dell’Italia, e di cui Guadagnino sembra in qualche modo il degno successore. Anche in quel caso sullo sfondo di una campagna italiana d’estate un’adolescente straniera scopriva i piaceri e le pene dell’amore romantico e carnale. Anche in quel caso il doppiaggio rovina molto l’atmosfera.

Forse Guadagnino supera Bertolucci nel non voler distrarre dalla storia principale (l’interazione tra Elio e Oliver) con altri intrighi o scene troppo architettate: la semplicità della tensione che si crea dalla prima stretta di mano basta a fare da motore del film e lascia intravedere tutto il resto sfocato sullo sfondo.

Inizialmente offerto ad altri registi stranieri, poi affidato alle mani di James Ivory ( che alla fine ha partecipato comunque alla scrittura del film), Call me by your name è stato l’occasione per Luca Guadagnino di mettersi nuovamente alla prova e dimostrare di essere un regista eccezionale, soprattutto se si pensa che contemporaneamente girava Suspiria, remake del celebre horror di Dario Argento, con la sua musa di sempre Tilda Switon.%name CALL ME BY YOUR NAME

Una colonna sonora alterna musica classica, pezzi anni ’80 e la sensibilità di Sufjan Stevens (se non lo conoscete sarà una bella scoperta) e una fotografia delicata coronano l’opera.

Tre candidature ai Golden Globes non hanno portato a un premio, ma speriamo un successo agli Oscar, dove attenzione non concorre come film straniero! Un premi agli Academy porterebbe il meritato riconoscimento a Luca Guadagnino anche nel suo Paese natale oltre che in tutto il mondo, cosa che ci auguriamo molto nell’attesa del prossimo film che si appresta a girare in Sri Lanka con, tnetevi forte, Jake Gyllenhaal….