ARCHITETTURE A MILANO (con pause food)

Sant'Ambrogio e San Vittore

Dimore austere che rammentano un passato glorioso, case museo in cui nulla è stato lasciato al caso e giardini nascosti che risplendono nei cortili di un’area milanese tutta da scoprire. Facciamo tappa nella zona di Sant’Ambrogio tra spuntini invitanti e bar storici osservando architetture che in un passato non troppo lontano hanno ospitato gli artefici della città moderna. “La casa deve piacere a tutti. A differenza dell’opera d’ arte che non ha bisogno di piacere a nessuno”. (Adolf Loos)

Colazione da California Bakery. Un po’ caro ma gustoso, in zona è uno dei bar più accoglienti e se sceglierete in maniera ponderata il vostro abbinamento ne uscirete soddisfatti e carichi per il nostro tour!

Caccia Dominioni, Casa Caccia Dominioni, piazza Sant’Ambrogio 16

L’architetto Caccia Dominioni è forse il primo ad avvertire i limiti del moderno e a prefigurarne il superamento, fin da questa prima opera di Piazza Sant’Ambrogio. L’occasione è data dalla ricostruzione del palazzo di famiglia, distrutto dai bombardamenti. La facciata su via S. Vittore è di rigorosa semplicità, interamente rivestito in beola, tagliato da due colonne di finestre alte e strette mentre la facciata principale è composta da fasce orizzontali, corrispondenti rispettivamente al basamento rivestito in Ceppo di Camerata Cornello, i piani superiori (e il retro) sono intonacati in color Terra di Siena.
In corrispondenza della facciata tesa del secondo e terzo piano sono ritagliate porte finestre con ringhiere forgiate in figura di monogrammi, unica concessione ornamentale in una composizione altrimenti severa, con le iniziali dei genitori dell’architetto. Al contrario ai piani primo e quarto, arretrati rispetto al filo facciata, rimasti da una serie di colonnine in ghisa, corrispondono ringhiere memori della tradizione rurale lombarda, ma vibranti come merletti ricamati. La costruzione per fasce parallele permette a Caccia di variare il numero delle aperture ad ogni piano, senza che venga meno l’immagine di palazzo, rafforzata dal cornicione aggettante. Questo palazzo è il primo di una serie di interventi di Caccia nel centro Milano, in cui si svolge con discrezione, ma anche con accenti di sofisticata stravaganza, l’operazione di fill-in nel tessuto storico.

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Muzio, Monumento ai Caduti, L.go Caduti Milanesi

Il monumento a torre con cripta commemorativa fu commissionato dalla città di Milano per onorare i diecimila caduti della prima guerra mondiale. Concettualmente quest’architettura si basa su temi allegorici e simbolici, già a partire dalla scelta del luogo, l’area tra l’Università Cattolica e la Basilica di Sant’Ambrogio, un tempo occupata dal cimitero dei martiri del primo Cristianesimo e chiaramente espressi dall’impianto ottagonale. Le facciate si rivolgono alle otto porte urbiche, attraverso le quali i caduti hanno per sempre lasciato la città. Ciascuna delle quattro facciate principali è dedicata ad un anno di guerra, mentre quelle diagonali simboleggiano i quattro elementi: terra, aria, acqua, fuoco. Ogni nicchia tra i pilastri contiene la terra di un grande campo di battaglia.
Altrettanto evidenti sono i riferimenti storico-formali: il recinto rettangolare ridisegna esattamente le misure dell’atrio della basilica di Sant’Ambrogio, la parte superiore del monumento, avvolta dal fregio dello scultore Salvatore Saponaro, ricorda l’antica torre dei Venti ad Atene e la doppia scala a chiocciola rimanda a quella del Sangallo nella fortezza di Orvieto. Anche l’impiego dei pesanti blocchi di Musso bianco è riconducibile ad un’antica tradizione, che va dalle colonne romane di San Lorenzo fino al Duomo milanese.
Sebbene l’edificio, con la sua espressione classica e severa e con le sue geometrie elementari si sottomette completamente alla tradizione nell’intento di esprimere la continuità storica e la riflessione spirituale del concetto di eternità, lascia anche spazio al moderno: per l’impiego del cemento armato come materiale costruttivo e per il faro – collocato al di sopra della cosiddetta sala della Luce Eterna – che nei giorni di commemorazione doveva irradiare con un fascio di luce elettrica la città. Il Monumento ai Caduti fu la prima vera occasione per Muzio e il gruppo del Novecento Milanese di far convergere in un’opera collettiva l’ideale della collaborazione tra architetti e artisti perseguita già a partire dal dopoguerra. Saponaro lavorò in stretto rapporto con il gruppo degli architetti. A. Wildt realizzò la grande scultura di Sant’Ambrogio, patrono della città, mentre altri artisti – G. Castiglioni, L. Andreotti, F. Lombardi, I. Griselli, A. Maiocchi e G. Supino – crearono rilievi, gruppi scultorei e inferriate. Scrittori e critici d’arte come P. Buzzi, U. Ojetti e M. Sarfatti contribuirono all’inaugurazione e divulgazione del monumento.

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Muzio, Università Cattolica, largo Gemelli 1, via Necchi 1-9

Con la solenne inaugurazione il 30 ottobre 1932, l’Università Cattolica si trasferì dalla vecchia sede nel palazzo di L. Canonica in via Sant’Agnese, a quella nuova, costruita dopo l’acquisizione dal Demanio dell’antico monastero cistercense di Sant’Ambrogio. Il complesso, collocato nelle vicinanze del Monumento ai Caduti, sorge dietro l’abside della basilica integrando gli splendidi chiostri del Bramante, che, sopravissuti alla soppressione dell’antica istituzione monastica, furono adeguati dapprima ad infermerie per l’esercito napoleonico, poi a magazzini e a sede dell’ospedale militare. Dopo la guerra Muzio completò il complesso e, nonostante la lunga realizzazione, avvenuta nell’arco di due decenni, riuscì a dare vita ad un complesso unitario, nel quale si fondono corpi nuovi ed antichi con grande sensibilità per la particolare importanza del luogo storico e per la vicinanza con Sant’Ambrogio. Inoltre con la Cattolica Muzio introduce il mattone in terracotta nell’immagine della città moderna. Essendo in prossimità della basilica di Sant’Ambrogio, la concordanza con l’antica tradizione del mattone nell’architettura lombarda è in questo caso radicata anche con il luogo specifico. Contemporaneamente Muzio adotta per la prima volta il principio formale della “pelle” di mattone (più tardi di clinker) come rivestimento dello “scheletro” costruttivo di cemento armato.

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Piero Portaluppi, Sede per la Società Filatura Cascami Seta, Via Santa Valeria 1

All’inizio degli anni Venti Piero Portaluppi ottiene dalla Società Anonima Porta Vercellina l’incarico di progettare una palazzina per uffici destinata alla sede della Società di Filatura Cascami Seta. La costruzione avrebbe occupato un terreno lungo via Santa Valeria, nei pressi della basilica di Sant’Ambrogio, dove originariamente sorgevano i rustici e le scuderie del neoclassico Palazzo Cornaggia. La brillante soluzione planimetrica adottata dall’architetto asseconda l’irregolarità del lotto. Fulcro della composizione è un atrio pentagonale a doppia altezza, con ballatoio perimetrale e lucernario di copertura, che funge da perno distributivo dell’intero edificio e da elemento regolarizzante: esso è infatti perfettamente in asse con il portale d’ingresso e immette in un corridoio di penetrazione agli uffici, perpendicolare ad uno dei lati obliqui del pentagono e parallelo all’adiacente palazzo. Attiguo al grande ambiente centrale è uno scalone a rampe semicircolari che collega i piani. A guidare l’architetto sembra essere stata l’idea della continuità con la fabbrica preesistente, che è evidente soprattutto nella composizione della facciata, la quale rimanda, nei dettagli rococò, all’edilizia civile lombarda settecentesca. Del tutto “milanese”, in facciata, è il rivestimento in ceppo, con inserti decorativi in cemento artistico di grande diffusione nell’edilizia cittadina d’inizio Novecento. Nonostante l’edificio accolga felicemente l’eredità di un passato ben tangibile nel contesto in cui si colloca, la firma dell’architetto è più che mai evidente nei dettagli decorativi degli interni genericamente riconducibili al gusto déco che di lì a poco avrebbe raggiunto la sua massima diffusione. Tra essi spiccano il pavimento mosaicato a segni serpentini dell’ingresso; i ferri battuti di lunette, balaustre e lampade; le boiseries di rivestimento degli ambienti di rappresentanza, intagliate con motivi a losanga; infine le decorazioni a stucco dei soffitti.

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Un aperitivo al Bar Magenta. Bar storico milanese vanta più di 100 anni di storia, aperto sempre, merita una sosta che vi farà tornare alla mente le atmosfere liberty parigine.

Pranzo al De Santis. L’indiscusso Re dei panini, cento nomi per molteplici abbinamenti di ingredienti di altissima qualità e ricercatezza, uno più gustoso dell’altro. La fila durante la pausa pranzo conferma!

Caffè alla Pasticceria Marchesi. La sede storica, quella che dal 1824 porta avanti una tradizione milanese di lusso e ricercatezza tanto da esserne contagiata anche Miuccia Prada che ha curato lo styling della sede in via Montenapoleone. Fermatevi per un caffè e un pasticcino (vi consiglio il budino di riso!) e apprezzerete uno dei veri simboli del capoluogo meneghino.

Gio Ponti, Domus Carola, Domus Fausta, Domus Julia, via De Togni 21/25

Tre case formano in via De Togni la prima concretizzazione del programma di rinnovamento dell’abitazione medio borghese che Gio Ponti chiamava “la casa all’italiana”. Gli appartamenti, uno per piano in ciascuna delle tre case, sono particolarmente innovativi nel panorama dell’edilizia milanese per la riduzione degli spazi di servizio a piccoli ambienti affacciati sul retro, a favore di un’unica grande zona giorno sul fronte strada. La soluzione, all’epoca, comporta un contenzioso con le autorità, che, considerando il limite di venticinque metri quadrati del soggiorno stabilito dalle tariffe, attribuiscono a questi appartamenti una tassazione normalmente riservata alle abitazioni di classe superiore. L’attenzione del progettista si concentra poi sull’aggiornamento degli impianti e delle attrezzature fisse, quali: armadi a muro, office attrezzati, librerie a tutta parete, forniti dall’origine come parte integrante  della costruzione. In particolare, la “finestra-vetrina” è una invenzione di Gio Ponti in cui la vista esterna è inglobata nella composizione delle librerie. Il ruolo delle “case tipiche” nella costruzione della città è dato dalla loro ripetibilità: mediante l’arretramento del filo facciata si ricava un piccolo spazio verde condominiale, e la strada diventa una “strada-giardino”. Nelle facciate, spogliate da ogni ornamento, l’unità stilistica è garantita dalla ripetizione di pochi elementi in combinazioni sempre differenti. Ai colori vivaci degli intonaci (giallo ocra, verde oliva, rosso mattone) è affidato il compito di sottolineare l’individualità di ogni “casa tipica”.

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Fondazione Piero Portaluppi, via Morozzo della Rocca 5

Realizzato dallo stesso Portaluppi l’abitazione-studio, oggi Fondazione, mostra la grande cura e maestria del dettaglio architettonico e di design del noto architetto milanese del ‘900, Portaluppi si dedicava con uguale dedizione allo studio di una maniglia per armadio, all’abitazione nel suo complesso, all’edilizia per l’industria e al restauro e riqualificazione dei grandi edifici simbolo di Milano. Oggi è centro studi, di ricerca e divulgazione delle sue opere ed è possibile visitarla su prenotazione. La casa sorge sull’isolato compreso fra via San Vittore, via Morozzo della Rocca e ed è costruita in cortina, presenta un’unica facciata pubblica che, nella prima versione del progetto, era risolta da una severa griglia cartesiana mentre successivamente introduce una variante sostanziale, dotando la facciata di un basamento uniforme rivestito da una straniante placcatura in lastre quadrate di metallo bianco al cromo, fissate mediante quattro borchie in rilievo che ne ostentano la funzione epidermica, il basamento parrebbe un originale omaggio ai sottili rivestimenti impiegati a Vienna dagli architetti della Secessione, ma anche un’allusione immaginifica alla modernità, rappresentata dal medesimo materiale con cui erano costruiti aerei, treni, automobili. Se le piante degli appartamenti sono organizzate secondo uno schema piuttosto tradizionale, distribuite da un corridoio centrale che divide le camere da letto e gli ambienti di soggiorno da quelli di servizio, il piano terra e l’ammezzato sono invece articolati in una complessa sequenza spaziale che ingloba l’ingresso e lo sbarco degli ascensori. Dal portale si accede infatti a un atrio disposto su due livelli collegati da una scalinata: i pavimenti, la scalinata e le pareti verticali sono interamente rivestite di sontuoso marmo verde malachite di Challant, mentre, sulle pareti del pianerottolo degli ascensori, lastre di bianco statuario a corsi orizzontali si alternano a fasce metalliche.

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Vigna di LeonardoUn tesoro nascosto che inaspettatamente si rivela dinnanzi ai nostri occhi grazie alla Fondazione Portaluppi e agli eredi di Casa degli Atellani che per EXPO 2015 hanno riaperto le porte di questa incantevole dimora dopo più di 500 anni.

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Aperitivo da Rossana Orlandi. Tappa fissa durante il Fuorisalone non tutti sanno che è un luogo dinamico e in cui perdersi tra oggetti curiosi e pezzi unici tutto l’anno! Fermatevi a bere un bicchiere di vino sui tavoloni esterni o rilassatevi sulle sedute rigorosamente di design.

Gio Ponti, Casa Ponti, via Dezza 49

La casa di via Dezza, ultima residenza di Ponti che abitò l’ottavo piano dell’edificio, assume in sé tutte le sue riflessioni sull’abitazione moderna e ne adotta le invenzioni spaziali. La costruzione presenta un fronte strada sviluppato in altezza, in cui si sovrappongono le lunghe balconate che danno il ritmo all’edificio. Ciascuna di esse, nelle intenzioni originarie del progetto, poteva corrispondere ad appartamenti più o meno grandi, modulabili anche in funzione delle vendite, e ogni condomino avrebbe avuto la possibilità di decidere trama e colori delle sue finestre, contribuendo a determinare un’immagine «spontanea» della casa. Gli spazi della casa, schermabili solo all’occorrenza attraverso pareti mobili del tipo “modernfold”, sono corredati da “testiere cruscotto” (attrezzate con ripiani, cassetti, luci, ecc.), mobili “auto-illuminanti” (che si staccano dalla parete), pitture da tavola e finestre, utilizzate come supporto per scaffali e mensole a sbalzo. La trama di ciascuna apertura, che diventa una finestra arredata, sancisce il limite tra l’ambiente privato e il paesaggio “perché da dentro l’esterno si vede sempre attraverso i primi piani dei mobili. E in questo consiste il suo incanto”. L’attenzione di Ponti si concentra anche sulla necessità di disegnare gli edifici in funzione delle disparità tra visione diurna e notturna, determinata dalla trasparenza e dalle capacità di riflessione dell’architettura contemporanea, fatta principalmente di vetro.

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Ludovico Magistretti, Condominio in Piazza Aquileia

L’intervento si inserisce in un’area dal cospicuo valore fondiario caratterizzata dalla diffusa presenza di zone verdi. Il lotto di progetto è in realtà il risultato dell’accorpamento di due particelle distinte dove in origine era prevista l’edificazione di due blocchi indipendenti. Questo dato di partenza si conserva nel progetto effettivamente realizzato, articolato in due volumi, uno più basso su piazzale Aquileia, l’altro a torre nel giardino retrostante.  Ciò ha consentito di destinare il blocco su strada ad appartamenti dal taglio regolare e di ampie dimensioni con servizi affacciati sul retro, mentre il fronte principale è caratterizzato dalla ripetizione dei ricorsi balconati, impreziosite dalla presenza di una fascia quadrettata in cemento. La torre nel giardino presenta un volume assai frastagliato, con numerosi balconi dal forte aggetto e consente la più ampia variabilità nelle dimensioni degli alloggi. Dal punto di vista compositivo la planimetria è il risultato della combinazione di una serie di quadrati più o meno regolari, addensati attorno al fulcro del volume cilindrico del corpo scale, in parte visibile all’esterno e all’interno del quale si trova l’ascensore.

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Cena da Valà. Entri dalla porta e ti senti nel salotto di casa, luce soffusa, sedute spaiate e oggetti forse ricordi, libri… La cucina è vegetariana e il gusto è quello di casa! Ideale momento di relax dopo questa intensa giornata con il naso all’insù.

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