IL CONDOMINIO DI ALDO ROSSI

Architettura d'avanguardia periferica

Quando ti sembra di conoscere davvero una città spuntano dei luoghi che mai avresti immaginato! Siamo a nord ovest di Milano, nel quartiere Gallaratese, una zona periferica che non conosciamo ma in cui risiede “il dinosauro rosso” la rinomata opera dell’architetto Aldo Rossi che insieme a Carlo Aymonino realizza uno dei progetti abitativi più discussi degli anni ’60-’70: il condominio Monte Amiata.

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Aldo Rossi è il capoluogo lombardo e viceversa. Grazie ai suoi schizzi, scritti e suggestioni immaginiamo i suoi progetti comporre il grande puzzle urbanistico di Milano che negli anni ’60-’70 vive un continuo cambiamento.

Caposaldo della storia dell’architettura italiana ha notevolmente influenzato l’estetica contemporanea. Studia al Politecnico di Milano e si laura con Portaluppi come relatore, collabora con la rivista “Casabella” e assiste Marco Zanuso durante il praticantato, nel 1960 partecipa alla Triennale di Milano e presenta un progetto per la ristrutturazione parziale dello Scalo Farini. Relizza numerosi progetti e lavora come art director per importanti aziende di design lombarde, parallelamente la sua carriera accademica lo porta ad essere sia assistente di Ludovico Quaroni, all’università di Arezzo, sia ricercatore insieme a Carlo Aymonino presso lo IUAV – Istituto Universitario di Venezia. E’ considerato uno dei fondatori del postmoderno ed è l’autore del notissimo testo Architettura della città (1966) letto da ogni studente di architettura.

Il Condominio Monte Amiata è uno dei più importanti progetti di Aldo Rossi e mentre ci addentriamo nello stabile sentiamo l’emozione invaderci. Una struttura ampia e labirintica, compatta, che ricorda un organismo umano per la sua forma dalle molteplici e straordinarie aperture e cavità che partono dal corpo centrale e potrebbero portarci ovunque vogliamo. Giriamo l’angolo e incontriamo una galleria dalle tonalità accese del rosso e del giallo che rivela un incredibile effetto prospettico tanto da farci sentire in un’installazione contemporanea degna di maestri come Olafur Eliasson.

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Ma come nasce questo luogo? Nel 1968 Carlo Aymonino propone a Rossi di collaborare al progetto per il Condominio Monte Amiata, affidatogli dalla Società Mineraria omonima. I progettisti lavorano ai due complessi che rappresentano caratteristiche apparentemente contrastanti infatti l’architettura di Aymonino propone un paesaggio di forme e volumi “accesi da una volontà espressionista”; quella di Rossi si staglia nella propria nitida limpidezza e neutralità in unità volumetriche, come egli stesso definisce il suo lungo edificio urbano “una lama che entra dentro il groviglio dell’impianto di Aymonino”.

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L’elemento dominante è il ballatoio in una personale rilettura di Carlo Rossi, che esprime tutta la sua milanesità, di un carattere tipico dell’edilizia popolare milanese e che si configura come percorso rettilineo continuo, aperto su un lato che distribuisce i singoli appartamenti come fosse una vera e propria strada.

Questa scelta progettuale genera un luogo, un luogo dentro un edificio, un luogo capace di confrontarsi con la città, un luogo divenuto interpretazione concreta dell’abitare… “il ballatoio significa un modo di vita bagnato negli avvenimenti di ogni giorno, intimità domestica e svariate relazioni personali”.

Il richiamo alla strada come spazio pubblico diventa poi l’elemento principale per la progettazione del piano terra, completamente integrato al resto del quartiere e sviluppato su due diverse quote delle quali quella superiore è destinata ai negozi di vicinato previsti dal progetto. Gli alloggi-tipo sono piccole abitazioni di due locali. I fronti sono segnati dalla scansione ritmica dei pilastri trattati con un rivestimento a intonaco nei toni del bianco e dell’avorio. Le aperture sono costituite da una sequenza continua di finestre quadrate, il cui rigore geometrico è stato letto spesso dalla critica come richiamo alla tradizione modernista di Adolf Loos e Le Corbusier.

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Le tonalità neutre dell’esterno in netto contrasto con quelle accese delle aree interne ci ricordano gli edifici di Tokyo per la loro compostezza e pulizia ma al tempo stesso sanno coniugare forme e volumi differenti generando un effetto eclettico e dinamico che rende questo luogo unico nel suo genere e una perfetta meta da fotografare e osservare.

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Foto di Marco Greco