Una scala, non certo di quelle per il paradiso. Un vascello che issa le vele per navigare a vista tra frustrazioni, incanti, ricordi e possibilità.
E poi loro, i corpi.
Corpi che sono, che fanno, che pensano, colpiscono, violentano, amano e sanno perdonare. Corpi vissuti e viventi che riescono anche a tornare bambini. Corpi di donna, forse una, forse più, che cerca piacere e di piacere. Esiste anche l’insicura vanità. Non è una questione di genere, ma di r-esistenza.
Corpi legati, corpi nevrotici, passivi spettatori, spesso consumati dal vizio e dal potere, un potere che trascina, ti sevizia, t’ipnotizza per poi percuoterti come un bastone. E intanto si sale e scende senza sosta la scala del vivere, e ti chiedi: “Che ne resta di noi?”. Immagina 6 attori non professionisti sul palco, togligli la parola e lasciali al destino del movimento. Con poche boe drammaturgiche dove aggrapparsi e poi la costruzione di un improvviso scenico fatto di salti, scontri, sguardi e lamenti. Una tempesta di non detto, che lascia dentro la quiete del compreso. I corpi sanno dire più di quello che le parole vorrebbero fare e loro lo dimostrano in poco più di un’ora. In un salotto disordinato e intimo, tra adagi di Albinoni, i ritmi di Guem et Zaka e le ballate di Mannarino, una commovente espressione del possibile in un luogo improbabile.
Secondo i dati dell’Amministrazione Penitenziaria del ministero della Giustizia, nelle 206 carceri italiane ci sono attualmente 66.271 detenuti, a fronte di una capienza di 45.568 posti. Meno di 3 m2 per detenuto rispetto agli 8 quelli richiesti dal buon senso e dalla legge.
Uno su quattro è tossicodipendente. Reati più diffusi? Quelli minori come lo spaccio e il piccolo furto e quelli apparenti (in cui giuridicamente non c’è una vittima, anche se a ben pensarci poi alla fine una c’è) e che riempie le nostre celle di migranti. Siamo al terzo posto per sovraffollamento in Europa dopo Serbia e Grecia, ancora terzi per numero di detenuti in attesa di giudizio dopo Ucraina e Turchia.
Inutile umiliarci con ulteriori statistiche sulle condizioni delle carceri in Italia, così com’è inutile scomodare il pensiero di Dostoevskij a riguardo. Abbiamo ancora tanto da capire sullo stato della civiltà a cui dovremmo aspirare.
E poi ci sono progetti sperimentali, purtoppo solo sperimentali, che parlano di recupero dell’identità del detenuto, decarcerizzazione, professionalizzazione e reinserimento. Parliamo della casa di reclusione di Bollate, dove programmi di reinserimento lavorativo e sociale rendono una strada in salita un po’ meno dura e frustrante. Ti puoi concedere un lavoro e uno stipendio per aiutare la tua famiglia, 1.200 euro al mese, paga normale, non come fuori. Qui nasce la compagnia di teatro In-stabile, della cooperativa Estia (www.cooperativaestia.org) che gestisce anche la falegnameria e propone programmi di accompagnamento per i detenuti. Passione e lavoro, uno sguardo di vita tra le sbarre.
Ho avuto la fortuna di assistere al loro ultimo lavoro “Che ne resta di noi?” diretto dalla regista Michelina Capato, coreografie di Claudia Casolaro, allenatrice del “senso teatrale” Matilde Facheris. I costumi sono di Lapi Lou e la scenografia di Maddalena Ferraresi. Consiglio di non perdere l’occasione di vederli.
Prossimo appuntamento:
Camerieri della vita, cena galeotta con intrattenimento teatrale.
Per info e prenotazioni:
Cell. 331.5672144
Tel. 02.23168216