Photo: Kaiii Williams
Per partire non basta riempire uno zaino, piegare con zelo due o tre maglie, trascinare con sé l’odore famigliare di un profumo noto, infilare all’ultimo secondo lo spazzolino e un libro, arrivare con largo anticipo sulla banchina del treno o al terminal 2. Oltre a macinare chilometri chi parte azzera tutto, riparte da un nuovo orizzonte, si sveglia ogni giorno e ogni volta non riesce a ritrovare una corrispondenza perfetta con l’idea che si era fatto di quel viaggio. Ed è così che dev’essere. Sì, perché viaggiare è un prima di tutto un percorso immaginato, un delicato tratteggio mentale di luoghi di cui ancora non abbiamo fatto esperienza, persone che non abbiamo ancora incontrato, sorprese di cui non conosciamo ancora le fattezze. Chi parte non sa cosa troverà e chi resta sa a cosa sta rinunciando. La vita di tutti giorni è pure un po’ simile ai viaggi. Eterno compromesso, traiettoria ebdomadaria, cerchio perfetto che si chiude, ogni sera alla stessa ora.
Questo octombre è un neologismo, è un autunno partito di fretta, un’estate che già si rimpiange, un inverno che non riusciamo ancora a immaginare. Dopo questo periodo di vita senza punti cardinali, riempiamo lo zaino, dimentichiamo di prendere la sciarpa che ci sta più a cuore e ricominciamo da lì: da quell’insaziabile, folle, meravigliosa voglia di andare. D’altronde non c’è nulla che ci trattiene nello stesso punto in cui a volte ci ostiniamo a rimanere.