Il mio profilo social migliore

ovvero il sacrificio del Sé

Un Post al Sole, più che una rubrica, una linea che si colloca tra elucubrazioni mentali e chiacchiere di comari. Ovviamente non ce n’era bisogno ma tant’è.

Un Post al Sole è un luogo non luogo creato da Elena Borghi (scenografa, illustratrice, paper artist, coltivatrice di parole dimenticate e comare) e da Serafina Schittino (psicologa, sessuologa, terapeuta non verbale e comare).

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Quando incontro una persona che non ha Facebook o non sa cosa sia Instagram o che “Twitter non l’ho mica mai capito”, provo una sorta di riverenza intellettuale, di inquieta ammirazione.

Non so infatti definire se mi destabilizzi di più che non ci sia nulla di rintracciabile di quella data persona nel mare del web o l’anelare d’essere ancora la Vergine dei Social.

In senso generale a questi quesiti esistenziali potrei procedere con uno sticazzi tuttavia, mio malgrado, penso a chi gestisce i propri profili social come fosse un influencer anche se no, non lo è ma ha i numeri per sembrarlo.

Paura eh?

Gente che wanna be e compra followers strisciando la PostePay verso qualche app dedicata al business delle Genti. Del resto anche a me, che con i social divulgo il mio lavoro, è stato detto in diverse occasioni che i miei “numeri” ovvero i followers, sono ridicoli e che, per quanto il mio operato venga ammirato, risulta impossibile interpellarmi con meno di 15K di followers.

«Comprali come fanno tutti no?», mi viene suggerito, come a dire che i numeri contano più della qualità di ciò che proponi.

In senso generale proseguo serenamente per la mia strada e sticazzi tuttavia, mio malgrado, non posso non interrogarmi su quei famosi fake influencer che hanno fake profili da fake trendsetter con fake followers (che poi se ci parli mica li hanno comprati eh? Giammai) e mi chiedo che senso abbia credere a persone che vendono ciò che non sono.

Problema non certo nuovo solo che la differenza, rispetto a 30 anni fa, è che a questa gente si crede e viene dato loro lavoro.

Sapere quanto siamo bravi e come le nostre abilità vengano viste dagli altri è più importante dell’autostima. Tuttavia da miei personalissimi sondaggi riscontro una certa quanto diffusa incapacità a valutare il Sé in modo accurato anzi, spesso c’è una tendenza a sopravvalutare le proprie capacità. Come a dire che meno sei capace e più credi d’esserlo perché, di fatto, essendo incompetente, ignori cosa voglia dire essere competente quindi tendi a presupporre d’esserlo (tuttavia no, non lo sei).

Non era facile dire questa cosa senza incartarsi ma c’è gente che l’ha fatto meglio di me.

Gli psicologi Dunning e Kruger sostennero per la prima volta nel 1999 che le persone prive di conoscenza e abilità in aree particolari subivano una doppia maledizione. In primo luogo, commettevano errori e prendevano decisioni sbagliate ma, in secondo luogo, quelle stesse lacune di conoscenza impedivano loro di comprendere i loro errori. Il cosiddetto “effetto Dunning-Kruger”, per l’appunto (fonte: Wikipedia).

Fantastico no, Serafina?

Ho bisogno di te che sei la mia comare psicologa preferita: poiché l’assenza di competenza allontana dalla comprensione delle proprie effettive capacità sia in ambito lavorativo che in ambito di evoluzione personale, quanto i profili social falsi come patacche aiutano chi li gestisce ad allontanarsi dall’effettiva valutazione del Sé?

«Cara Elena ciò che chiedi mi mette a dura prova, in quanto il tema rischia di prendere una deriva molto articolata e complessa e quindi mi devo contenere.

Ricordo che l’effetto Dunning-Kruger tornò in auge circa due anni fa, quando si vociferava di una possibile quanto inverosimile candidatura di Donald Trump alla Presidenza americana in quanto incarnazione per eccellenza dell’uomo che non sa di non sapere. Devo dire che, per quanto riguarda il nostro scenario socio-politico, purtroppo, il fenomeno è dilagante e sta generando problemi collettivi e individuali mastodontici.

Quello che mi porti come esempio apre in me una riflessione rispetto a una differenziazione importante tra menzogna ed errore: dire il falso per ignoranza del vero e dire il falso sapendo la verità sono due situazioni ben diverse.

L’errore, chiaramente, non è una menzogna e chi dichiara il falso per ignoranza lo fa in buona fede e le sue affermazioni non sono menzognere. Nell’errore si dice il falso senza consapevolezza, credendo di dire la verità della quale si dovrebbe venire a conoscenza successivamente, ma che in realtà questo passaggio sembra non avvenire secondo Dunning e Kruger.

Il problema si gioca quindi nella seconda parte del processo quando la Coscienza resiste all’evidenza di un errore.

Quindi la mia risposta è un sonoro e sofferente “Sì”, mia cara Elena, un profilo fake è molto rischioso perché la maschera che viene indossata è un complesso sistema di relazioni fra la coscienza individuale e la società, che serve da un lato a fare una determinata impressione sugli altri, ma dall’altro anche a nascondere la vera natura dell’individuo.

«La costruzione di una Persona collettivamente conveniente è una grave concessione al mondo esteriore, un vero sacrificio di sé, che costringe l’Io a identificarsi addirittura con la Persona, tanto che c’è della gente che crede sul serio di essere ciò che rappresenta», come diceva il saggio Carl G. Jung».

Quando Serafina chiude con Jung è un casino, te lo dico, non te la cavi mica alzando spallucce, ah no, caro mio! Quindi è deciso: basta fare Il Patacca, guardati dentro quel tanto che basta per vedere il tuo vero Sé scintillante e portalo nel mondo per renderlo un luogo migliore. Oppure sticazzi.