Un Post al Sole, più che una rubrica, una linea che si colloca tra elucubrazioni mentali e chiacchiere di comari. Ovviamente non ce n’era bisogno ma tant’è.
Un Post al Sole è un luogo non luogo creato da Elena Borghi (scenografa, illustratrice, paper artist, coltivatrice di parole dimenticate e comare) e da Serafina Schittino (psicologa, sessuologa, terapeuta non verbale e comare).
Dio, alias Alessandro Paolucci 35enne originario di Foligno.
Non sai chi è? Si vede che non usi molto i social oppure non li usi come dovresti perché, ne sono testimone oculare, Alessandro è una vera e propria celebrità del web capace di suscitare languidi sguardi d’adulazione.
La figura social di Dio nacque nel 2011, dalla noia di un ragazzo laureato in filosofia disoccupato da troppo tempo, e dalla volontà di dar luce a quelle capacità personali che il mondo del lavoro non sembrava notare.
Il successo mediatico è ben presto giunto. Dopo i numeri stratosferici, dopo l’osanna de Le Genti, dopo la gloria nell’alto del CEO, dopo financo la pubblicazione di un libro con i suoi migliori aforismi (“Dio non gioca a dadi: tiene il banco” ed. Kowalsky) Dio era nel suo olimpo Twitter e Facebook, forte di migliaia di fedeli adoranti, ma le proposte di lavoro non arrivavano e, di fatto, non si pagano le bollette con l’adorazione.
La svolta di Alessandro Paolucci è stata uscire allo scoperto, metterci la faccia, un nome e un cognome, questo ha fatto la differenza.
Ora Alessandro riveste, con le sue carni e le sue ossa di umano terreno, il ruolo di social media manager e addetto alle digital PR in un’agenzia di comunicazione, mentre Dio continua a essere uno dei più potenti influencer italiani. Insomma, una vita d’inferno la sua.
“Bere vino con Dio è una figata: calici sempre pieni eh?” / “Ah, tu sei Dio? Scusami ma non credo in te neanche ora che ti vedo” / “Certo che sei giovane per essere Dio. E la barba bianca?” / “Ma quindi se ti dò del porco conta come bestemmia?”.
Questi sono solo alcuni esempi di battute dal dubbio gusto che Alessandro si sente infliggere ogni volta che Le Genti scoprono chi hanno davanti.
Quanto è difficile essere un personaggio famoso e sapere che le persone si aspettano Lui da te, sempre?
Potrebbe sembrare dura, ma in realtà è come tornare bambini, e vedere tutti gli altri che tornano bambini insieme a te. Senza che io dica nulla, cominciamo tutti a giocare. “Adesso facciamo che io ero Dio e voi eravate i fedeli, e io vi punisco, e dovete lavorare col sudore della fronte e partorire con dolore”. “Sì, che bello!”.
Quello che tu riesci a fare non è da tutti e, di fatto, hai liberamente scelto di essere Dio. Questo corrisponde al riflesso di un dono o di una patologia psicologica?
Credo che sia un mix di volontà di potenza, voglia di scrivere e conflitti insanabili con i sensi di colpa cattolici che mi hanno messo in testa da piccolo, ma non trascurerei anche il fattore C. Un giorno ero su Twitter e ho scoperto che nessuno aveva fatto il fake di Dio: era un’occasione da cogliere al volo. Che fai, la lasci lì?
A livello individuale il narcisismo indica un disturbo della personalità caratterizzato da un esagerato investimento nella propria immagine a spese del sé. I narcisisti sono più preoccupati di come appaiono che di cosa sentono. Tendono a essere seduttivi e manipolativi, aspirano a ottenere potere e controllo sugli altri.
A livello culturale il narcisismo può essere visto come una perdita di valori umani: viene a mancare l’interesse per l’ambiente, per la qualità della vita, per i propri simili, la notorietà è più ammirata della dignità e il successo è più importante del rispetto di sé.
Credi che le web celebrities siano frutto di una cultura narcisistica o di una naturale evoluzione tecno-illogica?
I social sono progettati per dare all’utente la costante sensazione di essere il protagonista di una bellissima storia. Tutti ti stanno a guardare, ti mettono Mi Piace, ti commentano. Sei su un palcoscenico, ma senza l’ansia da palcoscenico: perfetto, no? Sei sempre al centro, per cui anche se non sei narcisista alla fine lo diventi.
Io stesso ritengo di avere tutto del narcisista, tranne la serietà. Il narcisista è prima di tutto uno che si prende sul serio, apparire figo non è un giochino, è una carriera: c’è del professionismo spinto, dello stacanovismo, e io ho già troppi sbatti per mettermi a fare anche il narcisista.
Arrivato a questo punto del percorso umano e lavorativo, quali sono i sogni di Alessandro Paolucci?
Ho un po’ di libri nel cassetto, li scrivo troppo lentamente. Devo trovare il modo di spicciarmi, che se continua ad andare di moda la scienza poi mi finisce la religione, e torno disoccupato.
Serafina, tu che sei la mia comare psicologa preferita, che vogliamo dire di Alessandro alias Dio?
Elena cara a meno che non soffra realmente di un disturbo di personalità narcisistico grazie al quale riesce a mentire agli altri ma soprattutto a se stessi, un gioco molto serio da cui è quasi impossibile uscire, posso dichiarare pubblicamente che Dio, malgrado le apparenze, si è affrancato da qualsiasi tipo di delirio di grandiosità.
Ovviamente fino a prova contraria, ossia fino a quando non lo incontrerò a tu per tu in seduta.
Non è facile essere influencer e non è semplice probabilmente individuarne uno vero come Dio. Credo che la forza di Alessandro Paolucci stia nel suo essere nato puro, perché in lui non viene meno la creazione della relazione. È opportuno i lettori sappiano come vi siete conosciuti, perché fa la differenza…
Beh, sì, in effetti una domenica di qualche anno fa mi venne l’idea di scrivergli una lettera pubblica chiedendogli dei consigli, fingendo di essere tale Maddalena, da San Donato Milanese. Lui, con la disponibilità tipica dei grandi, ha colto il gioco e mi ha risposto pubblicamente. Nacquero così “Non ci vedo bene ma ci sono” (una rubrica domenicale con domande, pensieri, parole, opere e omissioni di gente che una qualche risposta precisa la vorrebbe, leggila QUI) e la nostra amicizia.
Ma, Serafina, perché Alessandro può essere se stesso e influencer senza avere problemi di psiche e altri invece sono influencer per dar voce a tali problemi?
Perché con Alessandro Paolucci non viene mai meno l’interazione con il lettore, il dialogo, la conversazione, la costruzione di un rapporto, che è quello che manca sui social solitamente.
Il condividere è l’aspetto più narrativo del suo lavoro, ma è soprattutto personale, confidenziale e intimo e essere confidenzialmente intimo con Dio è un privilegio.