PHUBBING

Ovvero limonare duro con il tuo smartphone

Un Post al Sole, più che una rubrica, una linea che si colloca tra elucubrazioni mentali e chiacchiere di comari. Ovviamente non ce n’era bisogno ma tant’è.

Un Post al Sole è un luogo non luogo creato da Elena Borghi (scenografa, illustratrice, paper artist, coltivatrice di parole dimenticate e comare) e da Serafina Schittino (psicologa, sessuologa, terapeuta non verbale e comare).

 

%name PHUBBING

 

«Tu sei una che fa phubbing mi hanno chiesto, un giorno.

Ho pensato subito a qualcosa d’infamante.

Tipo che la mia estetista (che Iddio la conservi forte di stomaco) alla fine non ce l’ha fatta, è crollata e ha rivelato alla Milano da bar le atroci verità che si nascondono dietro al mio pube incolto. E vedo me, giudicata rea al processo indetto dalla Santa Inquisizione a caccia di streghe sciatte, ammettere colpe che non sento di avere per paura della tortura a base di luce pulsata.

Oppure il phubbing potrebbe essere un tour alcolico tra pub, fino a quando il fegato non ci separi.

Invece no, il phubbing è una di quelle parole germogliate nel Mondo per definire un gesto entrato di prepotenza nella collettività. Un neologismo, frutto del limone duro tra la parola “phone” e la parola “snubbing” (snobbare) per indicare chi ignora persone e/o conversazioni a favore del proprio smartphone.

Insomma, phubbing is for the new cafonals chic, divisi tra lo scrollo in pubblico di Facebook e l’esibizione di cover griffata.

Che poi, parliamoci chiaro, se stai facendo aperitivo con quella tua amica in crisi da astinenza di chat con il sentimental killer di Tinder (misteriosamente sparito dopo una due ore di sesso indimenticabile) e lei ti racconta tutto il suo sbigottimento tracannando Aperol Spritz come fosse acqua e paracetamolo (lei per annegare il di lui ricordo e tu per annegare il di lei tedio), ecco, se improvvisamente si illumina lo schermo del tuo smartphone tu, minimo, uno sbircio con gli occhi glielo dai, ammettilo.

Ritorni in te solo quando la tua amica si blocca per dirti: «Ma mi ascolti?».

Già, noi ascoltiamo la persona alla quale decidiamo di dedicare del preziosissimo tempo, o siamo tutti concentrati nel nostro individualismo dai pollici agili?

In molti Paesi si combatte contro l’alienamento da phubbing a colpi di campagne pubblicitarie ma in Italia ancora non se ne parla. Perché ne siamo vittime inconsapevoli o perché il fenomeno non è così rilevante?

Nel dubbio, chiamo la mia psicologa di fiducia: Serafina ma, secondo te, fare phubbing, come si traduce in termini psicologici? Cioè, stiamo parlando di una patologia vera e propria o di disagio?

«I risvolti psicologici sono svariati sia per chi agisce sia per chi subisce il phubbing, capace di generare disturbi anche importanti, abbassare considerevolmente gli standard qualitativi delle ore di lavoro, modificare rapporti e persino mettere in crisi coppie collaudate.

In chi subisce credo si generi una grande sensazione di tristezza e svilimento nel sentirsi trascurati, lasciati soli oppure ansia e inquietudine per chi, centrato sul virtuale, non riesce a godere del “qui e ora” o addirittura sente il presente reale come ostacolo al virtuale.

Più che di una patologia credo si tratti di una dinamica relazionale che sfocia in un circolo vizioso: sempre più ci lamentiamo che non ci si relaziona di persona, quindi sempre più ci rivolgiamo ai social. La misura in cui ci rifugiamo è direttamente proporzionale a quella in cui ci sottraiamo all’incontro faccia a faccia e, quando avviene, ci sentiamo trascurati e ignorati da chi fa phubbing. Più ci sentiamo così, più ci sembra normale farlo anche noi e quindi trascuriamo e abbandoniamo il nostro interlocutore che, sempre più, si tufferà a sua volta nei social.

Da non fumatrice ti posso dire che è un po’ la sensazione che si prova nell’attesa dei tuoi interlocutori che escono a fumare lasciandoti sola. Però, in questo caso, puoi fare lo sforzo di entrare nella loro storia accompagnandoli nel vizio e, nella più normale delle ipotesi, quei fumatori saranno felici della tua presenza.

Con i social questo non lo puoi fare. Il tuo compagno/a della serata si sta dedicando ad altro che non sei tu rendendoti il terzo incomodo, tuo malgrado.

Ma vorrei farti questa domanda Elena, se la tentazione del cellulare è così forte non potrebbe significare che il rapporto virtuale è più appagante, meno noioso, forse meno oppressivo di quello concreto? E allora piuttosto di chiedersi come mai abusiamo della virtualità, che è pur sempre una realtà psichica, forse sarebbe più corretto domandarci che cosa non troviamo più nell’interazione concreta, senza la distrazione del cellulare tra le mani».

Ecco, lo sapevo che mi fregavi Serafina!

Forse siamo diventati volubili, ci annoiamo facilmente, abituati a selezionare centinaia di contenuti al giorno con semplici gesti quindi, anche nella vita reale cambiamo “schermata” rifugiandoci altrove.

Come vittima di phubbing potrebbe diventare invece stimolante cercare di tenere viva la conversazione in modo da evitare quel momento triste di assenza, concentrandoci a dare il meglio.

Come carnefice di phubbing la mia cura è stata decidere scientemente di tenere il telefono nella borsa e tirarlo fuori solo a fine serata, quando il tempo che ho deciso di dedicare a quelle date persone è finito.

Non sempre ci riesco ma, ehi, il primo passo per la guarigione non è forse ammettere di avere un problema?

CIAO SONO ELENA, HO VENTINOVE ANNI E SONO DICIOTTO ORE E QUARANTATRÉ MINUTI CHE NON FACCIO PHUBBING.

%name PHUBBING