Torna l’appuntamento con Milano Design Film Festival (25-28 ottobre Anteo Palazzo del Cinema), un momento per indagare il mondo sotteso al design quello di architetti, progettisti, aziende e registi che con oltre 60 proiezioni si affiancheranno tra workshop, dibattiti e lecture.
La curatela quest’anno coinvolge Filippo Pagliani e Michele Rossi, dello studio milanese Park Associati che abbiamo incontrato per l’occasione nello loro studio di via Garofalo, un’ex tipografia che permette una certa fluidità degli spazi.
L’elemento che mi è saltato all’occhio studiando la storia di Park Associati è il rapporto che avete con il team, oggi molto importante per individuare le potenzialità di ciascuno e sentirsi parte del tutto.
La partecipazione è un elemento fondamentale e anche molto delicato specie in un mestiere creativo come il nostro e negli anni siamo riusciti a creare un metodo e se vent’anni fa era stata un’intuizione oggi ci rendiamo conto che è un atteggiamento contemporaneo, come la comunicazione può diventare un valore aggiunto e non una cosa nascosta, nella genesi del progetto il nostro è un gesto collettivo, tutto sommato molto forte.
Il vostro studio ha avuto e continua ad avere un ruolo fondamentale nello sviluppo architettonico contemporaneo di Milano. Com’è cambiata l’urbanistica del capoluogo in questi anni e come sarà nei prossmi?
Per una serie di eventi accaduti negli anni siamo stati e continuiamo ad essere molto coinvolti nella trasformazione della città, abbiamo capito che il tema del recupero sarebbe stato uno degli argomenti nevralgici nello sviluppo delle città e abbiamo iniziato a scommettere su quel processo tra progetti di recupero ed ex novo.
La città di Milano oggi vive di queste grandi trasformazioni urbanistiche come i quartieri di Porta Nuova, CityLife, l’area Symbiosis attorno alla Fondazione Prada, ma molte altre ne avveranno con il recupero degli scali ferroviari. Sono coinvolti anche gli edifici di cinquanta, sessantanni anni fa che necessitano un’adeguamento urbanistico anche in termini di sostenibilità come La Serenissima, un edificio progettato nel 1962 per la società Campari dai fratelli Soncini, che forse anche grazie al nostro intervento architettonico ha aiutato a trasformare via Turati. Quando abbiamo iniziato il progetto di riqualifica quello era un punto morto solo successivamente è diventato un quartiere attivo e frequentato. Quel progetto insieme a Gioiaotto, l’edificio originariamente progettato da Zanuso, con la nostra visione e un approccio di trasparenza e fluidità con la strada ha saputo esprimersi in maniera del tutto radicale, il tessuto urbano è stato definitivamente modificato.
Il The Cube e il Priceless, nato in concomintanza con Expo, sono invece esempi di come abbiamo scardinato i principi quasi vitruviani della costruzione perchè incarnano il concetto di temporaneità e nascono proprio con questo intento: essere architetture smontabili e rimontabili in un’altra città, un elemento disorientante in un tempo brevissimo che cambia l’interazione con lo spazio e poi svanisce. Un esercizio dal carattere forte e contemporaneo, la capacità di trasformarsi in tempi brevi e ritornare ad avere lo stesso approccio iniziale.
Instagram e l’archiettura. Esiste un vero interesse per il design e le nuove costruzioni che prima apparteneva ad una nicchia di settore oggi ha ampliato i propri confini. Cosa ne pensate? Credete sia un fenomeno da alimetare? Come vi rapportate al mondo di instagram?
Per lo studio seguiamo tre canali, Linkedin, Facebook e Instagram con linee diverse il primo come rete professionale, il secondo per le informazioni generiche, per Instagram invece abbiamo deciso di concentrarci sul lavoro dello studio. Abbiamo iniziato ad avere una grande cura nella gestione dei nostri canali perchè ci rendiamo conto che sono molto importanti per la comunicazione.
Dal punto di vista personale ho un approccio molto diverso con instagram lo trovo un mezzo di ricerca utilissimo ma sono sempre più geloso del mio spazio personale e non voglio che sia dato in pasto a tutti!
Fonti di ispirazione.
Il cinema sicuramente! Ogni volta rimani stupito ed emozionato. Questo esercizio che abbiamo svolto con il Milano Design Film Festival ci ha costretto a vedere moltissimi film che non conoscevamo. Abbiamo ricevuto una lista importante di film che abbiamo selezionato in base ai temi selezionati dal Festival è stato un lavoro lungo e stimolante. Ma anche musica, pittura, le arti non possono essere disgiunte.
La città ideale.
Ormai moltissime città del mondo Occidentale si stanno muovendo nella stessa direzione e Milano in questi ultimi cinque anni ha saputo avere un grande slancio, non ha nulla da invidiare alle Capitali europee esiste un livello di vitalità e un’energia molto forte a fronte di un’alta qualità di vita. Milano sta espriemendo una trasformazione contemporanea importante.
Il Gin “Garofalo”, una compilation musicale, settimana enigmistica, guide della città, un magazine, uno spazio espositivo al piano terra dello studio in cui presentano mostre di artisti emergenti…
Park Associati non mette un freno alla creatività e inaugura un progetto molto interessante: la Design Call, la prima edizione del bando per giovani designer under 30, mettendo a disposizione l’area espositiva all’interno dello Studio di Milano, a chi voglia proporre il proprio lavoro al pubblico internazionale del prossimo Fuorisalone 2019. Tutte le info al seguente link: https://www.parkassociati.com/designcall01/
Gli scatti dello Studio Park Associati sono a cura di Federico Torra
Due autori che presentano i propri progetti durante questa edizione di Milano Design Film Festival.
Francesca Molteni
Laureata in Filosofia, specializzata in Film Production alla New York University. Regista e autrice nel 2009 fonda la Muse Factory of Projects cun cui lavora a progetti editoriali e multimediali, documentari, installazioni.
Abbiamo intervistato Francesca telefonicamente che in occasione della Milano Design Film Festival presenta “Il potere dell’Archivio” realizzato in collaborazione con la Fondazione Renzo Piano, un’analisi e studio dell’imponente lavoro che segue ogni grande progetto dell’architetto e che spesso non si immagina nemmeno “l’archivio è la parte nascosta dell’iceberg, i progetti sono una punta visibile di una montagna invisibile. Le architetture realizzate sono la punta visibile, l’una non può esistere senza l’altra”.
La sua voce è dolce, rivela una sensibilità che mi piacerebbe abbracciare, di qualcuno che ha osservato le persone nei piccoli gesti e ne ha valorizzato il vissuto.
Le sue sono storie che coinvolgono emotivamente, ma come nasce la passione per la narrazione cinematografica?
Nasce alla fine della carriera accademica, sono laureata in filosofia con una tesi in “Fotografia dell’immagine, legata alla figura di Kandinsky” un destino giá scritto! Poi casulamente ho trovato un corso di video giornalismo che mi ha aperto un mondo: poter raccontare con le parole e le immagini. Erano i tempi della Gabanelli quello delle telecamere analogiche e io ho avuto un’occasione di stage a Roma seguendo il programma di Raitre “L’Elmo di Scipio”.
Il linguaggio dell’architettura. Come il tuo studio lavora in rapporto ai nuovi media?
Noi siamo specializzati in racconti lunghi, documentari, un’occasione per il pubblico di compattarsi e vivere un’esperienza ma ci stiamo tarando anche su produzioni piú brevi, condensando in pochi minuti quello che un film richiede tempo e presenza fisica.
Prensenti al Milano Design Film Festival un documentario su Renzo Piano.
Un film che racconta quello che solitamente non vediamo, l’archivio Renzo Piano, un luogo misterioso contenente tutti i progetti e gli studi che un tempo erano considerati polverosi e invece oggi sono fondamentali per capire chi siamo ma soprattutto dove andiamo, una memoria storica importante fatto di persone che timidamente sono protagonisti di questo mondo sommerso. Un lavoro di anni fatto di analisi e selezione che racconta un complesso lavoro sulla memoria, ogni volta che Renzo Piano realizza una mostra nel mondo partono casse piene di materiali di archivio, progetti, questi sono uno strumento comunicativo molto forte a volte piú dell’architettura realizzata. La volontà è mostrare la vitalità di un archivio, far rivivere un pezzo di storia che non vediamo mai.
Nel tuo studio che tipo di dinamiche ci sono.
Il nostro, come quello dell’architetto, è un lavoro di squadra tra impegno, creatività e passione. È molto importante lavorare insieme ed è lo sforzo che facciamo tutti i giorni, sebbene a volte emerga un solo nome il progetto è di tutti. Esiste una bellissima frase di Renzo Piano che cito: “questo è un mestire in cui la creatività deve essere condivisa altrimenti si fa come gli acrobati si sta in bilico per un po’ e poi si cade”. Mi piace molto che sia stato lui a dirlo, una grande firma dell’architettura, che riconosce che senza la sua squadra non ce l’avrebbe fatta.
Esiste un progetto che ha una valenza piú importante per te?
Ogni progetto è un po’ un figlio, difficile scegliere tra tanti di loro! Ma sicuramente uno che sento molto vicino è SuperDesign che abbiamo presentato a NY in collaborazione con una galleria italiana sul design radicale, un momento molto intenso a livello sociale e politico e di grande impegno civile, siamo riusciti a convincere il gallerista che era fondamentale raccontare questo periodo così importante del design italiano. Abbiamo girato l’Italia per incontrare i personaggi che hanno fatto la storia del design e ci hanno aperto le porte dei loro studi e archivi facendosi entrare nel loro mondo.
Esiste una città ideale?
Le grandi metropoli americane, Chicago e New York, in cui perdersi e osservare in alto… Sono città in cui mi piace sempre perdermi e tornare.
Giacomo Boeri
Regista e scrittore, fonda nel 2013 il suo studio The Blink Fish. In occasione di Milano Design Film Festival presenta il progetto di rilancio sociale “Amatrice the new year Zero”.
Come nasce la passione per la regia?
Ho sempre amato il cinema, poi con la prima telecamera ho incominciato a girare un po’ di tutto e da li non sono più tornato indietro. Ho capito che la mia passione poteva anche essere il mio lavoro, anche se tuttora non riesco ancora a considerarla una vera professione.
Come l’architettura ha influito sul tuo percorso artistico e professionale.
Ho degli architetti in famiglia, quindi credo in qualche modo di aver assorbito da più parti alcuni concetti che altri hanno forse dovuto studiare.
L’architetto è un lavoro molto simile a quello del regista, la tua idea si concretizza passando attraverso mani diverse e devi essere bravo a mantenerla netta facendo si che ognuno aggiunga qualcosa in più.
Amatrice racconta un raro caso di unione, partecipazione e solidarietà. Ci racconti il tuo personale coinvolgimento durante questa esperienza.
Nella tragedia credo che Amatrice sia una splendida dimostrazione di come le persone insieme, con un obiettivo comune, possano sradicare opinioni, burocrazia e capovolgere tutto. Ho incontrato persone capaci di essere positive anche nella peggiore delle situazioni ed è proprio questa la forza trainante che piano piano permetterà la ricostruzione.
La città che vorresti o quella in cui ti identifichi maggiormente.
Vorrei una città con più centri di aggregazione, Milano per la sua dimensione dovrebbe favorire un continuo scambio culturale e sociale, molto spesso mancano dei poli di ritrovo.
Ci dai qualche anticipazioni di futuri progetti?
Sto scrivendo un lungometraggio che parla dell’impatto dei social network e delle nuove tecnologie sulla generazione del ’68. Siamo ancora alla fase iniziale ma ho appena girato un cortometraggio sullo stesso tema, il titolo è “Pater Familias”.